Marco Polo all’incontrario

A fine marzo (la notizia sembra ormai certa) il Presidente Cinese Xj Jinping verrà a Roma per sottoscrivere il “Bri” (Belt and Road Initiative), un grande progetto lanciato nel 2013 e che spesso è stato definito la “nuova Via della Seta”.

In realtà si tratta di un imponente sistema di finanziamento di grandi opere pubbliche che si propone lo scopo di garantire la sicurezza degli interessi cinesi in ogni angolo del mondo: privilegiando le vie d’acqua. Un progetto di lungo termine e di grande respiro che vede l’Italia come una sorta di “Cavallo di Troia” per penetrare nel mondo occidentale. Personaggio chiave in questa vicenda, per la nostra nazione, è il sottosegretario al ministero dello Sviluppo economico (quindi “braccio destro” di Luigi Di Maio, Michele Geraci, che - da oltre un decennio - fa il docente in Università cinesi (a proposito di conflitto d’interesse).

L’accordo Cina-Italia dovrebbe prevedere la velocizzazione delle capacità di investimento: dall’Italia verso la Cina, ma soprattutto (ed è questo che ha fatto accendere il segnale di allarme alla amministrazione americana) dalla Cina verso l’Italia. E qui sta il punto.

La terrificante potenza di fuoco finanziaria dei “mandarini”, combinata con la svendita a prezzi di saldo che viene praticata dai nostri imprenditori (soffocati da lacci e lacciuoli burocratici, fiscali e pure sul costo del lavoro, tutelato oltremisura), consentirebbe a quel Paese del Sol levante di farsi un boccone delle nostre energie produttive. La scusa formale per incunearsi qui pare essere quella di “dare una mano per rimettere in ordine” le nostre vetuste infrastrutture, non gravando sull’immenso debito pubblico, per poi far diventare tutta l’Italia una “colonia-zen”. La prima potenza G-7 che, in questa sorta di gioco Monopoli, la nazione-continente si affilierebbe.

L’unico punto che pare resistere sono le ferree regole sindacali, che – tuttora – preservano il lavoro prestato (regolarmente) in Italia una sorta di linea Maginot. Quindi sarebbero due gli ostacoli sulla Via della Seta: il primo si chiama Matteo Salvini, bordeggiante tra una linea sovranista stile-Trump e una più, come dire?, di spessore pragmatico (Putin).

Un altro - di fronte opposto al primo - vedrebbe i “guardiani del lavoro” (la sinistra Pd e oltre Pd), sulla tutela delle sacre guarentigie sindacali, sguainare le spade per opporsi all’entrata di quel Paese che è diventato il nuovo capitalista 2.0. Ecco spiegata l’insofferenza di Luigi Di Maio verso Tria e pure verso Salvini.

Aggiornato il 12 marzo 2019 alle ore 12:06