Le colpe dei padri non ricadano sui figli

“Voglio solo dirvi che per degli anni il compagno Kravchenko non ha cessato di mentire al Partito. Ha nascosto un fatto estremamente importante quale è il passato politico di suo padre! Perché non ha confessato al partito che suo padre era un attivo menscevico, prima della Rivoluzione […]?”.

Così ricorda l’ex ingegnere minerario Victor Kravchenko nella sua autobiografia “I Chose Freedom”, pubblicata negli Stati Uniti nel 1946 e nell’edizione italiana due anni dopo, il tentativo di epurazione ordito contro di lui nell’Unione Sovietica degli anni Trenta.

Nei confronti del Vicepremier Luigi Di Maio è stato imbastito un processo simile, infondato e tutto politico ma assolutamente analogo a quello che Di Maio stesso aveva imbastito appena qualche giorno prima ai danni del candidato sindaco del Movimento 5 Stelle a Corleone, Maurizio Pascucci, reo di aver detto di voler aprire un dialogo con i parenti dei mafiosi e di essersi fatto fotografare insieme al nipote, incensurato, del boss Bernardo Provenzano.

In quell’occasione Di Maio aveva rinunciato, via smartphone, al comizio finale della campagna elettorale e dichiarato di voler chiedere l’intervento dei probiviri del partito per procedere all’espulsione del malcapitato Pascucci, ridotto nel giro di poche ore a paria, a reietto. Evidentemente, per Di Maio, in Sicilia le colpe dei mafiosi ricadono ipso facto sui parenti, a prescindere dalle fedine penali di quest’ultimi e da cosa fanno della loro vita. Da quel che è dato sapere, infatti, il nipote di Provenzano della foto incriminata gestisce semplicemente un bar insieme alla moglie.

Nell’Italia peninsulare, invece, e in modo particolare in quel di Pomigliano d’Arco, il ministro del Lavoro riscopre il garantismo della civiltà liberale che impedisce di chiedere conto a un individuo delle malefatte compiute dai parenti.

Ne “I sette a Tebe” di Eschilo, le colpe degli avi ricadono ineluttabilmente sui discendenti innocenti; i fratelli Eteocle e Polinice devono così morire a causa del parricidio compiuto da Edipo. L’isterismo delle purghe staliniane rischiò di far fare la stessa fine a Kravchenko.

Ora, i demoni del giustizialismo esasperato, che fino ad oggi hanno trovato nella leadership pentastellata entusiasti e solerti sacerdoti, si sono rivoltati contro Di Maio. Contro quei demoni il vicepremier non ha la credibilità morale di opporre alcunché; altri, quei pochi rimasti a difendere i residui brandelli dello Stato di diritto liberale, nonostante il furore e l’eccitazione crescente dei cultori giacobini della rivoluzione etica permanente, dovranno nonostante tutto fargli da scudo.

Aggiornato il 04 dicembre 2018 alle ore 11:46