Le colpe dei padri non ricadano sui figli

martedì 4 dicembre 2018


“Voglio solo dirvi che per degli anni il compagno Kravchenko non ha cessato di mentire al Partito. Ha nascosto un fatto estremamente importante quale è il passato politico di suo padre! Perché non ha confessato al partito che suo padre era un attivo menscevico, prima della Rivoluzione […]?”.

Così ricorda l’ex ingegnere minerario Victor Kravchenko nella sua autobiografia “I Chose Freedom”, pubblicata negli Stati Uniti nel 1946 e nell’edizione italiana due anni dopo, il tentativo di epurazione ordito contro di lui nell’Unione Sovietica degli anni Trenta.

Nei confronti del Vicepremier Luigi Di Maio è stato imbastito un processo simile, infondato e tutto politico ma assolutamente analogo a quello che Di Maio stesso aveva imbastito appena qualche giorno prima ai danni del candidato sindaco del Movimento 5 Stelle a Corleone, Maurizio Pascucci, reo di aver detto di voler aprire un dialogo con i parenti dei mafiosi e di essersi fatto fotografare insieme al nipote, incensurato, del boss Bernardo Provenzano.

In quell’occasione Di Maio aveva rinunciato, via smartphone, al comizio finale della campagna elettorale e dichiarato di voler chiedere l’intervento dei probiviri del partito per procedere all’espulsione del malcapitato Pascucci, ridotto nel giro di poche ore a paria, a reietto. Evidentemente, per Di Maio, in Sicilia le colpe dei mafiosi ricadono ipso facto sui parenti, a prescindere dalle fedine penali di quest’ultimi e da cosa fanno della loro vita. Da quel che è dato sapere, infatti, il nipote di Provenzano della foto incriminata gestisce semplicemente un bar insieme alla moglie.

Nell’Italia peninsulare, invece, e in modo particolare in quel di Pomigliano d’Arco, il ministro del Lavoro riscopre il garantismo della civiltà liberale che impedisce di chiedere conto a un individuo delle malefatte compiute dai parenti.

Ne “I sette a Tebe” di Eschilo, le colpe degli avi ricadono ineluttabilmente sui discendenti innocenti; i fratelli Eteocle e Polinice devono così morire a causa del parricidio compiuto da Edipo. L’isterismo delle purghe staliniane rischiò di far fare la stessa fine a Kravchenko.

Ora, i demoni del giustizialismo esasperato, che fino ad oggi hanno trovato nella leadership pentastellata entusiasti e solerti sacerdoti, si sono rivoltati contro Di Maio. Contro quei demoni il vicepremier non ha la credibilità morale di opporre alcunché; altri, quei pochi rimasti a difendere i residui brandelli dello Stato di diritto liberale, nonostante il furore e l’eccitazione crescente dei cultori giacobini della rivoluzione etica permanente, dovranno nonostante tutto fargli da scudo.


di Luca Tedesco