Ma quali sono le “parti politiche”?

In certi momenti sono preso dal sospetto che a capire qualcosa di concreto della situazione politica del nostro Paese siano oramai solo quelli che nulla ne sanno e che sono raggiunti solo dall’eco, intermittente e deformante, del gracchiare della televisione della stanza accanto.

Non è, questo è certo, che io sia in extremis, stato conquistato dall’antipolitica. Queste constatazioni mi pesano e mi rattristano. Ma l’antipolitica non si combatte e l’esigenza di una visione politica non si soddisfa inventandosi una politica che non c’è o una diversa da quella che c’è. Anche se a rigor di logica e per rispetto della realtà della storia dovremmo dire, piuttosto, delle forze politiche, dei soggetti e delle tendenze politiche che non ci sono.

La distruzione del sistema e dei partiti politici realizzato con il golpe giudiziario del 1992-1994, un terremoto cui ha fatto seguito una  instabilità sismica alimentata dall’infierire della violenza golpista per un quarto di secolo, ha finito per distruggere non tanto e non solo “quei” partiti e neanche solo quelli a venire, ma il concetto stesso di “parte”, concetto che implica la divisione dell’opinione pubblica (e non solo) nazionale, ma anche l’esistenza di entità definite e definibili, con una loro fisionomia, un proprio punto di riferimento ed una propria dirigenza.

Sembra invece che alla strage sia sopravvissuta solo una fantasia assai attiva nel creare etichette, oltretutto con denominazioni al contempo strane e monotone. Nel linguaggio militaresco c’è un termine con il quale si indica un tipo di esercitazioni che non coinvolgono né i militari di truppa, né carri armati e cannoni, se non la menzione di quelli dati per esistenti ed impegnati nel giuoco. Si chiamano “manovre con i quadri”, in cui si affrontano eserciti immaginari. Ne emergono ufficiali destinati a far carriera, strateghi anch’essi “sulla carta”.

I cosiddetti partiti in lizza oggi per “realizzare” il risultato e dare un contenuto alle elezioni del 4 marzo, sono qualcosa di simile agli Stati Maggiori che fanno le “manovre con i quadri”. E, per quel tanto che dietro le etichette dei cosiddetti partiti c’è qualcosa più del vuoto, le cose si complicano ulteriormente. Perché quel qualcosa, quella tifoseria che fa da corteggio ai leader è tutt’altro che omogenea, né ha un senso la divisione tra l’una e l’altra formazione. Che c’è “di Sinistra” nel cosiddetto centrosinistra? E perché la Lega dovrebbe essere considerata “la Destra” del Paese, più a Destra di Forza Italia, solo perché i leghisti sono un po’, anzi, molto più rozzi ed all’occorrenza tifano anche contro l’Italia al Campionato del Mondo? (ricordate Matteo Salvini?).

E i Cinque Stelle? Dichiarano di non essere di Destra né di Sinistra. Entro certi limiti è vero perché sono solo ignoranti e l’ignoranza è di Destra e di Sinistra indifferentemente. Ma, poi, se sentiamo affermare che il Partito Democratico è “di Sinistra” o, magari di centrosinistra, ci viene da ridere e finiamo per ammettere che le macerie della Sinistra, i suoi cascami sono in buona parte transitati nei Cinque Stelle. Che sarebbero la fazione più rozza e ignorante rispetto a quella spocchiosa e clientelare, nella quale riaffiora l’“ideologia” quel tanto di marxismo da strapazzo che ci ha deliziati per decenni che, invece si fa chiamare Pd.

Si dirà che questa è un’analisi “antipolitica”, degna di qualche grillino. Ma le analisi delle situazioni politiche come di ogni altra cosa, non hanno qualifiche a seconda del loro risultato. O sono giuste o sono fasulle. Certo il punto di vita di chi le fa ha il suo peso. Per lo più per renderle fasulle. Ma all’antipolitica si oppone solo la buona politica e questo non può fondarsi e concepirsi che partendo dalla verità, tanto più se si tratta di verità drammatiche.

In sostanza, vorrei esprimere la convinzione che non può concepirsi uno schieramento politico ed una possibilità di trarne al meglio le sorti della cosa pubblica, se tale schieramento è disegnato in base a divisioni e contrapposizioni non omogenee. Così non ha senso contrapporre ad un partito che esprima interessi di classe elaborati secondo una certa tradizione, uno schieramento definibile solo per la rozzezza e l’ignoranza dei suoi dirigenti e militanti e, poi concepire partiti di ignoranti grotteschi di Destra e ignoranti grotteschi di Sinistra, come d’altra parte per meglio intenderci, non ha senso un centrodestra che comprenda una formazione politica definibile solo come “disgregazionista” rozzamente secessionista (se ancora è tale).

Piaccia o non piaccia, ad esempio, la furibonda contrapposizione tra partito democratico e grillini è in sé grottesca perché ambedue sono null’altro che i cascami di una Sinistra sfasciata ed esangue, con gli uni, magari, che meglio riflettono le clientele, i frutti più o meno velenosi del potere, le tiritere delle sedimentazioni retoriche, e con gli altri, il ritorno alla fase premarxista, pre-illuminista di antichi miti egualitari.

La conclusione di questo discorso che non nego possa definirsi un po’ sconclusionato, è che se la democrazia ha nel nostro Paese uno spiraglio nel futuro, esso dovrà potere esprimere interessi, sentimenti, dati culturali contrapposti ma omogenei. Se no, non avrà significato, né ragione di sopravvivere.

Aggiornato il 09 aprile 2018 alle ore 17:25