L’Atac presa con trasporto dai Radicali

A memoria non ricordo nessuna delle privatizzazioni fatte nel nostro Paese che sia andata a buon fine, nel senso che né lo Stato ci abbia guadagnato (visto che il debito pubblico è sempre aumentato), né che i servizi offerti ai cittadini siano migliorati, e il più delle volte anche i dipendenti hanno fatto un brutta fine. Questo non vuol dire che le privatizzazioni non devono essere fatte se necessarie, ma denota un malcostume tutto italiano di svendere il patrimonio pubblico agli amici degli amici, indifferenti alla qualità del servizio e alle casse dello Stato. Il clima al quale abbiamo assistito, in questi anni di Seconda Repubblica, è quello dell’assalto alla diligenza che servirebbe una “Norimberga” per condannare i responsabili dell’impoverimento del Paese. Questa premessa è d’obbligo perché in questi giorni è iniziata una raccolta firme per un referendum proposto dai Radicali della Bonino che chiede la privatizzazione dell’Atac (Azienda di Trasporto pubblico del Comune di Roma).

Ovviamente si invoca lo spirito liberale, e certamente ai radicali in genere non manca, ma qualcosa in questo referendum non torna. Prima di tutto dobbiamo precisare che privatizzazioni e statalizzazioni non devono essere un dogma né un mantra, non sono il diavolo e l’acqua santa, ma delle opportunità che lo Stato deve saper valutare rispetto ai costi e alla qualità del servizio. Per l’Atac esistono due questioni ben più importanti prima di deciderne la privatizzazione (con questo termine si intende metterla sul mercato al miglior offerente, anche se purtroppo non sempre è cosi). La prima questione è il silenzio di tutti i protagonisti nel denunciare l’abuso di potere che il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha commesso in questi anni (e prima di lui Renata Polverini) nei confronti della città di Roma e della sua municipalizzata. Perché forse non tutti sanno che la Regione Lazio riceve dallo Stato 600 milioni di euro per il servizio dei trasporti, e almeno il 50 per cento sarebbe dovuto essere trasferito al Comune di Roma per la sua azienda di trasporto pubblico. In questi anni abbiamo assistito nell’assordante silenzio delle opposizioni e dei vari attori interessati a un furto di risorse che la Regione Lazio ha operato nei trasferimenti ad Atac per aumentare le risorse della Cotral (azienda di trasporto regionale) a discapito della legge e dei cittadini romani. Posso capire l’incompetenza del sindaco Ignazio Marino e della Raggi, ma il silenzio delle varie forze politiche è inquietante. Se la memoria non m’inganna, dei 300 milioni di euro dovuti, quest’anno ne sono stati trasferiti 180 al Comune, meno degli anni scorsi; il tutto per risanare la Cotral. Certamente l’Atac è un carrozzone che è stato massacrato da gestioni allegre e assunzioni fuori da ogni logica aziendale, ma il macroscopico buco è dovuto alla mancanza di fondi che sarebbero dovuti arrivare dallo Stato mediante la Regione Lazio. Da ricordare anche lo scandalo in cui l’Atac produceva biglietti falsi che immetteva in circolazione, e di questa indagine non si è saputo più nulla, grazie alle stranezze di questa magistratura italica, per cui non ho nessun interesse a difendere questo carrozzone che, comunque, serve alla città.

Altro aspetto di cui nessuno parla, ma che gli attori politici dovrebbero sapere è che la legge sulle municipalizzate prevede comunque che il Comune di Roma deve intervenire per ripianare il buco, volente o nolente. Pertanto, quali sarebbero le convenienze per i romani con una eventuale privatizzazione? I debiti al pubblico e i guadagni al “privato”? Prima di metterla in gara il Comune dovrà ripianare il debito, anche perché con questo debito nessuno parteciperebbe alla gara; inoltre i lavoratori in esubero sarebbero abbandonati a se stessi, o precisamente andrebbero ad aumentare la spesa della cassa integrazione (sempre soldi pubblici), con il risultato che la nuova privatizzazione potrebbe subire la sorte dell’Alitalia, oltre a determinare conflitti sociali che, in un momento di crisi economica come l’attuale, equivarrebbe a mettere benzina sul fuoco.

Liberalizzare i servizi pubblici è giusto solo a condizione che il costo del servizio e la sua qualità non vengano messi in discussione. Solo un piano di riorganizzazione con manager veri, e non condizionati dalla politica ma dai risultati, può dare soluzioni soddisfacenti. Sono anni che assistiamo a delle incongruenze nella gestione delle municipalizzate: nella politica degli appalti, nella gestione del personale, a una presenza sindacale parcellizzata che determina enormi disagi sia nella gestione che nei confronti dei cittadini; tutti aspetti che andrebbero rivisti. Esiste una contraddizione fondamentale nelle aziende dei servizi pubblici: nonostante che esse siano sempre con i bilanci in rosso, abbiamo una conflittualità sindacale abnorme che in nessuna azienda privata sarebbe possibile, perché il sindacato penserebbe più alla tutela del posto del lavoro e non a rivendicazioni di vario genere. Chi di noi di fronte a un servizio ormai fatiscente non voterebbe sì alla sua privatizzazione? Ma essere liberali vuol dire mettere le aziende in competizione tra di loro, considerare la qualità e il costo del servizio come elemento centrale della strategia di una moderna mobilità della città, considerare il costo sociale della privatizzazione nella sua globalità. Ecco, tutti questi punti fermi il referendum cosiddetto liberale non se li pone. Sembra più una battaglia di principio di cui i contorni sul futuro sono estremamente labili e i rischi non considerati. Gira voce, già da anni, dell’interesse da parte della società di bus delle ferrovie dello Stato di prendersi il servizio pubblico di trasporto di Roma, accollando i debiti alla collettività.

Il referendum promosso sembra più un assist per la privatizzazione a favore di Ferrovie dello Stato che non il voler ristrutturare e risanare una azienda importante per la città. Non so se i Radicali della Bonino lavorino per il re di Prussia, ma come diceva Giulio Andreotti a pensar male si fa peccato, ma a volte si coglie la verità.

Aggiornato il 20 luglio 2017 alle ore 10:47