Il Pd e il partito dei magistrati in crisi

Ormai si dà per acquisito il dato, risultante dal test delle Amministrative, di una crisi, più che di un calo, del Partito Democratico. Di un’altra crisi poco o per nulla si parla, una crisi che non vorrei fosse di crescita anziché di calo: quella del Partito dei Magistrati.

Anche per questo mostruoso partito-istituzione le Amministrative hanno detto qualcosa, anche se non clamoroso e neppure facilmente decifrabile. Si potrebbe dire che il calo dei votanti sia un segno di buona salute per il partito delle toghe: se, come è indiscutibile, esso è un partito che fonda il suo potere sul timore che provoca tra eletti e, di conseguenza, tra gli elettori, questo “tirarsi” da parte di tanta gente è il riflesso dell’incombere di questa forza eversiva che rende inutile il voto. Il caso di Trapani, città in cui le elezioni si sono risolte in un nulla di fatto perché c’era rimasto un solo candidato-sindaco, eliminati “preventivamente” gli altri a colpi di avvisi di garanzia è sicuramente assai significativo. Come è significativo, di contro, che l’elettorato non ha voluto incoronare l’unico “risparmiato” dai Pm. Il Partito dei Magistrati, si direbbe è in grado di impedire a chiunque di vivere e di governare, non, invece, di imporre così i suoi uomini.

Poiché poco si è votato in Sicilia (il voto di Palermo è più difficilmente decifrabile di quanto non appaia) non si può dire se l’operazione degli Ingroia, Di Matteo, Scarpinato ecc. del volersi mettere alla testa di una folta tifoseria 5 Stelle o più o meno di gente di tale estrazione politica (o “antipolitica”) culturale abbia avuto conferme o smentite. Il calo ovunque registrato dei voti per l’elettorato grillino non è di per sé significativo rispetto alle sorti di tale operazione.

Il tentativo di Matteo Renzi di imporre al Partito dei Magistrati un modus vivendi con il Pd, in nome e sulla base di una comune distanza dai principi liberali e democratici e da una qualche propensione comune per un Partito della Nazione, ha trovato difficoltà ancora maggiori di quelle previste.

Le vicende giudiziarie delle “grandi famiglie” del Pd (Boschi, Renzi, Banca Etruria, ecc.) non hanno certo giovato al raggiungimento di una fruttuosa convivenza. Diviso tra “quelli della Corporazione” e quelli delle velleità oltranziste, il P.d.M. soffre la sua crisi.

Ma, soprattutto, comincia a serpeggiare nell’ambiente politico, che pure ci lascia soli a parlare di Partito dei Magistrati, la sensazione che il disegno politico del vero corpo della magistratura è insaziabile e che, magari, sia meglio assecondare le ambizioni di qualcuno dei magistrati più impegnati a mettersi in mostra che sottostare alla tutela pesante della Corporazione Giudiziaria.

Il centrodestra, uscito vincitore da questa prova elettorale, non sembra avere la minima idea di come metterla col partito delle toghe. Berlusconi è lontanissimo dal ruolo che avrebbe potuto e dovuto assumere sulla quesitone dell’eversione giudiziaria. La base culturale di destra e ainistra non ha bisogno di inciuci del Nazareno per rivelare sconcertanti dati comuni.

Aggiornato il 29 giugno 2017 alle ore 10:20