Partito dei magistrati,  epilogo sciagurato

Non è più solo una “voce corrente” né tanto meno un’ipotesi ragionevole (cioè irragionevolmente probabile). Il Movimento 5 Stelle si propone di imporre a questo nostro povero Paese (la frase di Turati morente!) un capo del Governo magistrato, un Piercamillo Davigo o qualcosa del genere (e magari, se possibile, di peggio).

È, in fondo, la parabola del cosiddetto populismo, da sempre sostenitore, riserva di caccia dei generali golpisti, dei golpisti per conto terzi, dei preti e dei Papi-Re. C’è tra questi protagonisti di scellerate alleanze una connessione culturale, cioè di incultura, tra l’ignoranza diffusa e quella paludata di divise rutilanti e di decorazioni e di toghe. La storia, per chi non ne rifiuta gli insegnamenti, è piena di esempi allarmanti del genere.

Le vicende del Partito Democratico, al cui interno Matteo Renzi ha preteso (riuscendovi solo in parte) trasferire la resa dei conti della grande trombata del referendum, hanno offerto un quadro rattristante del rapporto tra magistratura e potere politico. A rappresentare la non recente alleanza, la vita parassitaria della sinistra sulle imprese del Partito dei magistrati (Pdm), le sue prevaricazioni e il suo potenziale eversivo, un magistrato in presa politica diretta, un rozzo esemplare di una frangia più apertamente e personalmente interventista dei magistrati in politica. A fronteggiarlo la caricatura di un ministro della Giustizia, un Andrea Orlando più curioso che furioso, insignificante. A pretendere di sovrastare il contrasto, un Renzi sostanzialmente rottamato dal referendum. Scenario, un partito che ha votato al 50 per cento immagine e proiezione di un astensionismo (che invece non c’era stato nel referendum) del corpo elettorale.

Intanto scintille di arroganza e di imbecillità schizzano dai magistrati “impegnati” un po’ dovunque, ma, al solito, più intensamente in Sicilia, in Calabria e nelle zone dove la lotta alla criminalità organizzata è diventata più facilmente e rapidamente un pretesto. Fenomeno già visto, purtroppo, basta riandare agli anni 1919-1924. Purtroppo sono stato buon profeta quando nel 2013 scrissi che il Partito degli arrabbiati, dei grillini, del popolo dei computer, era destinato a fare da claque al Partito dei magistrati. La classe politica, ma dovremmo oramai dire la “cosiddetta” quella che un tempo era... la classe politica, resta inerte. Si volta da un’altra parte, “evita i contrasti” con i magistrati arroganti e invadenti, come nel secolo scorso “evitò i contrasti” con generali e colonnelli felloni e meschini che si esercitarono nell’“impresa di Fiume” dell’altisonante Poeta-soldato dilettante Gabriele D’Annunzio, ma soprattutto nel fornire camion, armi e supporti d’ogni genere alla violenza delle squadracce fasciste.

Ricordate come chiamavano Davigo quando faceva parte del Pool del giurista molisano Antonio Di Pietro? “Il dottor sottile” (ne abbiamo una collezione di assai poco rassicuranti). La sottigliezza sembra che oggi non gli dispiacerebbe di metterla al servizio del comico più grossolano che abbia calcato le scene d’Italia: Beppe Grillo. O meglio, pare che non gli dispiacerebbe di circondarsi della folla di “computer-dipendenti” urlanti il ben noto grido di guerra del comico. Questa è la storia del pensiero politico e giuridico dei nostri giorni.

Aggiornato il 27 aprile 2017 alle ore 17:37