Facciamo il punto (Capitolo 61) - Ci conosciamo ormai da qualche tempo e i sessanta capitoli che precedono hanno descritto un po’ di cose, raccontando anche meccanismi e “tortuosità” tali da rendere evidente che l’improvvisazione, l’impreparazione, il chiasso e l’emotività non sono in grado di procurare alcuna possibilità di affrancarsi dalla morsa di politici parassiti e indegni ma anche minuziosamente organizzati. Da decenni, da troppi decenni, siamo un popolo che propone forme di rivalsa politica così inconcludenti e inefficaci, da indurre a pensare che non si tratti solo di un popolo perdente ma anche penosamente incapace di capire. Esuberanti chiassosi credono ancora nella piazzata o nella rivolta, senza rendersi conto che recitano le parole e gli slogan che proprio il potere politico gli mette in bocca. Nei capitoli che precedono, abbiamo parlato dello schema e delle sue linee, degli uomini di parrocchia, del tesseramento e dei sistemi per falsificarlo, dei “postifici” e delle sgrinfie della politica sul territorio, dei dirigenti di partito, dei delegati, delle correnti e di una serie di giochetti, inganni e truffe che formano l’insieme dei veleni con cui certa politica istituzionale ma criminale, piega il popolo ai più indegni voleri.
Abbiamo insomma parlato di una sorta di enorme motore e dei pezzi che lo compongono; abbiamo descritto come si comprano i voti, chi li compra, come si pagano e su quali capitoli del bilancio pubblico gravano. Abbiamo descritto come i partiti politici determinano anche il più piccolo particolare della vita delle istituzioni pubbliche e come manovrano i congressi da cui prendono genesi i meccanismi che permettono tali sofisticate possibilità di controllo. Specialmente nel capitolo n.16, abbiamo parlato di come si adopera il linguaggio per camuffare la realtà e rendere “elegante” la facciata degli inganni più ignobili. Abbiamo detto dei “pacchettari”, del tavolino del preordino dei congressi, del cosiddetto “mercato delle vacche”, del Manuale Cencelli, delle liste unitarie, concordate e contrapposte, chiuse e aperte; abbiamo detto come si scrivono i manifesti e gli statuti politici e descritto anche come viene minacciato e perfino denunciato un eventuale “disobbediente” non uniformato alle prepotenze dei capi della politica del partito.
Bene, anzi male; alla luce di tutto questo, quale appellativo potrebbe essere dato a chi pensa ancora di opporsi a tanta criminale organizzazione, con qualche slogan o incitamento alla piazzata? Nel vedere tanta inconcludenza nell’azione di rivalsa politica popolare, si resta davvero sgomenti e si comincia tristemente a pensare che il popolo sia trattato come merita. A tutt’oggi, la democrazia non esiste o noi, per lo meno, non sappiamo meritarla. Il termine democrazia fa però parte del sontuoso vocabolario dell’ipocrisia della politica istituzionale italiana che ha saputo concepire una serie di espressioni per prenderci in giro come allocchi. Detestare i politici vigenti non basta; occorre anche prendere le distanze da quel popolo rimbombante e inconcludente che versa debolezza su tutti i cittadini.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:15