Realtà e linguaggio (capitolo 16)
La superficialità uccide e se nel destino del mondo non c’è scritto che sarà possibile vivere anche senza la conoscenza, allora l’essere umano va a uccidersi senza capire che va a uccidersi. La faciloneria popolare avalla la politica peggiore e ciò potrebbe spiegare perché viviamo i tempi che viviamo. La conoscenza delle cose è cultura e la cultura è il seme della vita più lento a crescere. A Dio piacendo, c’incontreremo in questo corso per un centinaio di appuntamenti a cadenza settimanale; dunque, abbiamo tempo. Nel precedente capitolo 15, abbiamo accennato all’utilizzo che la politica fa di certi “vocabolari” e alla vita che è piena di codici e segnali. A questo punto, può essere utile dedicare una breve riflessione all’uso del linguaggio. In sintesi, il linguaggio, quello delle parole, è una comunicazione che va dal cervello alla lingua, la prima fase avviene dentro di noi ed è detta enunciato, la seconda, quella che esterniamo, è detta enunciazione; il passaggio tra le due fasi, si chiama débrayage (cambio).
Più si parla per immediata emotività, magari nell’illusione d’essere concreti e meno tempo si dà al cervello per riflettere e capire. Ferdinand de Saussure, padre riconosciuto della linguistica moderna, afferma in modo incontrovertibile che il linguaggio sia una convenzione e che, pertanto, nessuna singola parola debba prestarsi a un’interpretazione soggettiva. Del resto, a spingere verso l’interpretazione soggettiva, anche quando fa incappare in facili “tagliole”, provvedono per loro natura le locuzioni, ovvero gli insiemi di parole. È assai raro che si sia testimoni diretti dei fatti dei quali si viene a conoscenza, dunque, la realtà è prima di tutto una rappresentazione.
Insomma, se un albero cade nella foresta, nessuno lo sa, ma appena la telecamera lo riprende e il giornalista ne parla, allora il mondo viene a sapere che l’albero è caduto. Da questi pochi concetti, possiamo capire cosa sia l’informazione e quale carico di responsabilità porti con sé, tuttavia, se è fondamentale che il racconto rispetti alcune regole, è anche fondamentale che il lettore ricordi di possedere un’intelligenza che può permettergli di capire perfino ciò che, talvolta e non per caso, capita che sia scritto “tra le righe”.
In entrambi i casi, cioè quando si racconta e quando si legge, è necessaria una forte libertà dalle fissazioni, dai luoghi comuni e dalla propensione alla suggestione; questo non è un invito a rinnegare la parte sensibile o artistica di ciascuno, ma un allarme per non abusare della suggestione fino a inibire la ragione. L’emotività amputa l’intelligenza popolare e ciò porta affluenza di imbonitori alla politica. Chi possiede la ricchezza della voglia d’imparare, sa carpire la differenza che in politica come nella vita, corre tra una strategia efficace e un progetto effimero... la libertà e la democrazia non sono per caso.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 14:58