Cronaca di un Congresso (Capitolo 54 - Parte E) - Col capitolo 50 è iniziata una sorta di ripresa diretta di un congresso tipo; è opportuno ricordare che nella “politica dei politici”, dunque anche in un congresso, il senso di correttezza non determina alcuna priorità. L’osservazione ingenua e talvolta supponente di certi fatti, non aiuta a capire i trucchi e veleni di cui essi sono intrisi, anche se si sospettano.
Quanto sopra implica che ogni tanto, perfino nel pieno svolgimento di un capitolo riferito ad un tema specifico, sia opportuno interporre qualche pausa di riflessione e considerazione. Relativo a elezioni pubbliche, congressuale o referendario che sia, il voto popolare è ormai svuotato di gran parte del suo significato e del suo potere, insomma, si tende a trasformarlo in farsa... sarebbe opportuno che il popolo se ne rendesse conto. Siamo portatori ancestrali di un certo bigottismo o perbenismo che ci trascina a non voler ammettere certe evidenze, ma siamo anche diffusamente d’accordo sul fatto che la nostra democrazia sia una farsa e che una tale democrazia non può esistere né perpetrarsi se non trasforma in farsa anche il voto.
Nella mentalità popolare si è radicata la facile convinzione che se si vota, allora si è in democrazia ma, come talvolta accade, si tratta di un teorema popolare banalmente sbagliato. Il cinico potere politico che ci amministra, sa bene che è più conveniente adottare espedienti per pilotare il voto, piuttosto che puntare a sopprimerlo. Ciò risponde a una logica perversa ma è lampante il fine di diminuire la massa dei votanti, cercando di dare i connotati della maggioranza politica alla minoranza popolare che vota; le ultime leggi elettorali hanno mirato esattamente a questo.
In Italia, il controllo del voto è un fenomeno assai diffuso che si consuma con l’assegnazione di ruoli pubblici e col diretto versamento di quattrini a individui d’ogni tipo; detto fenomeno ha come capitolo portante il voto di scambio ed è totalmente finanziato con ingentissime somme di denaro pubblico.
In politica ma spesso anche nella quotidianità, la gente italiana tende a classificarsi in due modi: uno è silenzioso, deliberatamente lento, prudente, discreto, intelligente e cinico, l’altro è invece irruente, emotivo, frettoloso, presuntuoso, chiassoso e facilmente esposto al plagio. In tema di politica, il popolo e il potere hanno “stili” assai diversi; per il primo, la politica è una sorta di sensazione e impulso che dà origine a sfoghi, esternazioni immediate e tante altre cose disgiunte dalla razionalità; per il secondo, cioè il potere, la politica è invece calcolo, strategia e capacità d’attesa che inibisce l’emotività, la superficialità e l’avventatezza.
L’antichità classica, la filosofia e la letteratura ci hanno consegnano la democrazia come una cosa meravigliosa, tuttavia un potere politico falso e cinico come quello che ci amministra, non può essere combattuto con le illusioni che vengono dalla suggestione.
Ritorniamo in sala, il congresso continua.
Aggiornato il 06 aprile 2017 alle ore 17:13