La riforma Madia ingabbia gli italiani

Il “No” al referendum deve dimostrarsi la solenne bocciatura per il Governo Renzi e le sue riforme. Dietro ogni pseudo-riforma, dalla legge elettorale sino all’ultima che riduce le municipalizzate, si celano interessi di potere della cosiddetta “banda Renzi”, che intende detenere il potere in Italia per i prossimi trent’anni.

Da un paio di giorni giornali e tivù stanno celebrando i trionfi della riforma Madia: vorrebbe ridurre le società partecipate da 8mila a mille: a rischio tutte quelle che non superano il tetto del milione di fatturato annuo e che hanno pochi dipendenti. Nel medio periodo il Governo mira a chiudere cinquemila società partecipate, contando di mettere per strada (di disoccupare) circa 50mila dipendenti, spacciandoli per esuberi: di fatto solo una certa fascia dirigenziale godrebbe di una decorosa mobilità verso altre strutture, enti, ministeri o società.

Per meglio radicarsi sul territorio, il partito di Renzi (a cui appartiene Marianna Madia) ha varato la regola dell’amministratore unico, che concentrerebbe le ex municipalizzate nelle mani di un solo uomo, facendo saltare tutte le altre poltrone. Entro febbraio del 2017 tutte le società che in qualche modo hanno a che fare col pubblico saranno obbligate a stilare l’elenco degli esuberi, dovranno cioè presentare in breve tempo un piano licenziamenti. Una sorta di manovra “Fornero bis”, visto che la neonata “Agenzia nazionale del lavoro” vigila perché i licenziati non vengano riassorbiti in aziende in qualche modo ricollegabili al pubblico; infatti le assunzioni nella Pubblica amministrazione sono bloccate fino al 30 giugno del 2018. Ecco che necessiterebbe far saltare il banco di questo governaccio, fatto di personaggetti come la Madia che si crede erede di Fanfani, ma anche dalla Giannini e dalla Boschi in competizione nella corte renziana per il titolo di “miss belle cosce”.

Quindi un “no” anche all’impulso alla computerizzazione della vita di ogni singolo cittadino, onde evitare che si debbano passare intere giornate davanti al pc per rispondere a banche, assicurazioni, enti locali, agenzie… Qui è a rischio la salute dei cittadini italiani, che il Governo intende ingabbiare nel “carcere digitale”, affidando le chiavi delle celle a Procure, banche, Agenzia delle entrate, Asl… In parole povere la riforma crea 50mila nuove famiglie di poveri, minaccia di inserire le multe nelle nostre bollette di luce, telefono e gas, mira a privatizzare i servizi idrici e la pulizia delle strade.

Di fatto la porta del baratro è stata aperta dalla riforma che ha sancito per ognuno di noi il cosiddetto “domicilio elettronico”, che manda in pensione la cassetta postale, ma obbliga chiunque, vecchi, asceti, pastori, contadini, diseredati a farsi tutti il computer, a collegarsi in Rete ed a comunicare alla Pubblica amministrazione il proprio domicilio elettronico. Una trovata che costringerà tutti a pagare multe, bollette, cartelle esattoriali, atti notori… con il cellulare. Della serie “dai nonna, fatti lo smartphone”. Nel testo di questa pelosa riforma sono inserite non poche clausole capestro, volte ad incentivare lo smartworking (il lavoro domestico tramite cellulare) e, soprattutto, l’istituzione di un commissario di governo per l’Agenzia digitale: incarico che durerà tre anni e verrà dato a uomo dei servizi di stretta osservanza renziana. Non più di quattro mesi per adeguarsi alle regole digitali sia per le piccole amministrazioni che per i cittadini meno preparati ed abbienti: il motto dell’Era Renzi è “Pin unico d’accesso per tutti i cittadini, il cosiddetto Spid, per accedere ai servizi on-line delle Pubbliche amministrazioni”.

Severo il monito per gli esclusi sociali: “Mettetevi al passo o vi sanzioniamo”. Ecco che il “come è umano Lei” (figura fantozziana) ha pensato d’inventarsi il difensore digitale, che nel pubblico sarà un dirigente incaricato di traghettare gli uffici in Rete, mentre nel privato difenderà i cittadini poco ligi al dialogo digitale con le Pubbliche amministrazioni. Perché oggi c’è anche l’Agid, l’Agenzia per l’Italia digitale, potrà anche comminare sanzioni ben oltre i 20mila euro a chi non vuole dialogare con lo Stato tramite computer. Ecco che la riforma istituisce la banca dati che raccoglie tutti i rapporti tra cittadino ed istituzioni, Stato, banche, assicurazioni: evadere dalla Rete diventa un reato.

Verranno di fatto esposti al pubblico ludibrio anziani con vite stentate, pastori abruzzesi, sardi e della Murgia pugliese, contadini dell’entroterra siciliano, montanari dell’Aspromonte ed asceti delle Alpi, pescatori solitari delle isole e anime claustrali. Tutti colpevoli di disertare il villaggio globale, il dialogo in Rete con la Pubblica amministrazione. Questo sistema ci vuole tutti soli e tecnologici, rincoglioniti davanti al computer.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:04