L’Africa autocratica: democrazie in ritirata

L’Africa è destinata a divenire un continente autocratico, sotto l’influenza di Russia e Cina? Stando all’ultimo rapporto Ifri: “I regimi africani, resi fragili dall’aggiustamento strutturale e dalla rivendicazione democratica, hanno avviato un processo di restaurazione autoritaria”, tale da condurli inesorabilmente tra le braccia della Russia putiniana, e non solo. Di fatto, c’è da dire che Mosca, a seguito della guerra in Ucraina, ha interesse a controbilanciare la sua perdita di forza e credibilità in Occidente, e negli ex Paesi socialisti dell’est Europa, tornando a esercitare e a potenziare il ruolo e l’influenza che aveva nel continente all’epoca dell’Urss.

Del resto, con il ritorno delle giunte militari e degli uomini in divisa kaki e occhiali scuri da sole, per l’Occidente è ormai completamente svanita l’illusione di qualche anno fa di una rapida diffusione “alla Fukuyama” della democrazia nella regione. In tre soli anni, infatti, in Africa occidentale e centrale si sono verificati ben otto colpi di stato (l’ultimo di pochi giorni fa in Gabon) e, probabilmente, non è finita qui. Per ora, chi si trova la strada spianata per un’ulteriore penetrazione sono proprio i gruppi jihadisti dell’Isis e di Al Qaeda e, soprattutto, i mercenari della Wagner, vero braccio armato russo nella regione, che non obbediscono a nessun protocollo di ingaggio onusiano.

E proprio queste forze irregolari, ferocemente anti occidentali, sono destinate a rafforzarsi lungo i 3.500 km della così detta “cintura africana dei golpe” (copyright della stampa anglosassone), che parte a ovest dalla Guinea e arriva all’est fino al Sudan. Questo preoccupante scenario rappresenta un terreno particolarmente fertile per Vladimir Putin, al fine della creazione di un “secondo fronte” nel sud del Mediterraneo. Con ogni probabilità, le minacce di riportare l’ordine con la forza, da parte del Presidente nigeriano e dei 15 Stati aderenti all’Ecowas (di cui quattro sono in mano a giunte golpiste), sono destinate a rimanere prive di effetto.

Nonostante le apparenze, i regimi democratici africani (che rimangono comunque popolari), grazie all’aiuto di Europa e Stati Uniti, hanno fatto meglio di quelli autoritari nel contrastare finora la guerriglia fondamentalista. Se a Niamey una folla di manifestanti ha inneggiato alla Russia, questo non vuol dire che la Wagner sia in grado di ottenere quei successi che le armi occidentali non hanno finora conseguito contro i fondamentalisti.

Rimane altrettanto vero però che la Francia è altamente impopolare presso le opinioni pubbliche e i regimi delle sue ex colonie, non avendo mai rinunciato a esercitare la propria influenza negli Stati africani francofoni, fatto che si è rivelato altamente controproducente per l’intero Occidente. Del resto, praticamente tutto quello che l’Italia sta subendo con le migrazioni indiscriminate di massa nel Mediterraneo lo deve esclusivamente alla follia della Francia, che attaccò nel 2011 la Libia, eliminando Gheddafi senza prima aver individuato un suo credibile successore, seminando così il caos nella regione. Sono state infatti proprio le armi saccheggiate dagli arsenali militari libici a rafforzare le varie guerriglie e milizie africane presenti negli Stati confinanti.

Alla Francia (che vede oggi a rischio le sue forniture di uranio nigerino) non resterà altra scelta se non quella di ritirare il proprio contingente militare, nel caso che la giunta di Niamey dovesse resistere alle pressioni internazionali e rimanere saldamente al potere.

Stesso dilemma per gli Usa, che dovranno decidere se violare ancora una volta la loro dottrina (mai collaborare con i golpisti, tranne rare eccezioni qualora sia a rischio la sicurezza degli Stati Uniti), oppure congelare i finanziamenti, le forniture di armi e la cooperazione militare a favore del governo nigerino. Quel che è certo a dover cambiare è l’insieme delle politiche africane adottate dall’Europa, dato che all’Africa vanno fatte offerte concrete che consentano la trasformazione in loco delle immense risorse naturali, a favore dello sviluppo e del benessere delle popolazioni locali. Solo la crescita occupazionale può, infatti, evitare ai suoi cittadini di emigrare per disperazione, fame e denutrizione.

L’Africa, cioè, deve poter beneficiare della transizione green e non essere penalizzata nel corso di questa riconversione industriale epocale. Se per troppo tempo Usa e Europa hanno ignorato l’enorme potenziale economico e strategico del continente nero, per limitarsi a farne un problema esclusivamente umanitario, invece i suoi avversari planetari come la Russia e soprattutto la Cina hanno capito già da molto tempo la portata strategica, economica e politica dell’Africa, attuando due diversi tipi di penetrazione. Da un lato, Mosca ha rivisitato la vecchia strategia sovietica mandando la Wagner a difendere i Paesi africani dall’assalto dell’Isis e delle milizie fondamentaliste, cosa che ha consentito ai suoi mercenari di mettere le mani su giacimenti di oro e diamanti, come corrispettivo della loro protezione militare a sostegno di regimi falliti.

Pechino, invece, ha preferito agire in base alla logica delle Vie della Seta, per costruire infrastrutture in cambio di concessioni molto vantaggiose per lo sfruttamento delle materie prime dei Paesi africani beneficiari dell’intervento. A restare in mezzo al guado delle forniture di uranio nigerino è oggi la Francia, anche se Parigi ne ha minimizzato l’impatto relativo, grazie alla diversificazione delle sue forniture strategiche. Tuttavia, nel caso di un irrigidimento della giunta golpista di Niamey, occorrerà comunque pensarci due volte a mettere ulteriori sanzioni europee alle esportazioni russe di uranio.

In materia di estrazione del pericoloso minerale radioattivo, la Francia ha parecchie cosette da frasi perdonare, essendo il più grande inquinatore locale con 20 milioni di tonnellate di scarti da miniera lasciati all’aria aperta e non trattati. Questi ultimi, stando alla denuncia delle Associazioni umanitarie internazionali, sarebbero responsabili di aver causato una scia di contaminazione di falde e terreni per il rilascio di gas radon, danneggiando così la salute di centinaia di migliaia residenti nelle aree circostanti alle miniere di uranio. Forse, non è anche questo un pessimo post-colonialismo?

Aggiornato il 04 settembre 2023 alle ore 14:31