Biden: se la Russia attacca siamo pronti a reagire

Il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, nel suo discorso di ieri sera alla nazione americana è tornato sulla questione russo-ucraina, ribadendo di fatto la posizione portata avanti finora. Dinanzi alle voci che si rincorrono in queste ultime ore, relativamente al ritiro del contingente militare russo dall’Ucraina, e in seguito alle dichiarazioni del cancelliere tedesco, Olaf Scholz, che a colloquio con Vladimir Putin ha chiarito come l’ingresso dell’Ucraina nella Nato non sia nell’agenda dei Paesi del Patto Atlantico (in barba alle parole dello stesso presidente ucraino, Vladimir Zelensky, che proprio nei giorni scorsi aveva sottolineato come, per il suo Paese, aderire alla Nato sia una questione di sicurezza nazionale), il presidente Usa sembra non credere alla buona fede dei russi, come del resto il governo ucraino. Non abbiamo ancora verificato il ritiro delle truppe russe, dice Biden (facendo eco alle dichiarazioni del segretario della Nato Jens Stoltenberg), aggiungendo che gli Stati Uniti sono pronti a qualsiasi evenienza.

Tuttavia, non mancano gli inviti alla ragionevolezza e alla soluzione pacifica della controversia: il presidente Usa si dice pronto a negoziare accordi scritti con la Russia che prevedano, tra le altre cose, nuove misure di controllo sugli armamenti e un nuovo rapporto improntato alla lealtà e alla trasparenza. Non è nostra intenzione destabilizzare la Russia, assicura Biden, ma se questa dovesse attaccare l’Ucraina, allora avrà la guerra e sarà interamente frutto di una sua scelta. Il presidente Usa, però, non chiarisce se si tratterà di una guerra nel senso stretto del termine, di una guerra economica o di entrambe le cose. Subito dopo, infatti, ribadisce che in caso di attacco all’Ucraina sono già pronte delle pesantissime sanzioni, tra cui il blocco del gasdotto Nord Stream 2. Se la Russia attacca i costi strategici saranno immensi e l’invasione dell’Ucraina si rivelerà una ferita autoinflitta, prosegue Biden, il quale garantisce che ci sarà una schiacciante condanna internazionale e che gli Stati Uniti, assieme ai suoi partner e alleati, sapranno rispondere in modo deciso e coeso. L’America non sacrificherà i principi fondamentali per placare la Russia e proseguirà nelle sue politiche di sicurezza comune difendendo ogni centimetro del territorio Nato e sventando ogni possibile cyberattacco.

Sostanzialmente, la politica della Casa Bianca rimane quella del “doppio registro”: da una parte, continuare a cercare una soluzione diplomatica, tentando di far ragionare il Cremlino e di far capire a Putin che deve rassegnarsi e abbandonare ogni velleità neo-sovietica; dall’altra, essere pronti a reagire e a difendersi in caso la via della diplomazia e della ragionevolezza fallissero. Fa bene il presidente americano a non fidarsi di Putin: quale ingenuo si fiderebbe del presidente russo, del resto? Sebbene il ministro degli esteri del Cremlino, Sergej Lavrov, abbia ribadito la disponibilità russa a continuare sulla strada della diplomazia e abbia sottolineato come non ci sia mai stato il rischio di una guerra, tenere fede a queste parole sarebbe un terribile sbaglio per l’Occidente. Si continui pure a dialogare, ma non si dimentichi che il proprio interlocutore è del tutto inaffidabile e che aspetta solo un minimo segno di debolezza per passare all’attacco. Ragionare, insomma: ma sempre con una mano sulla fondina.

I russi saranno veramente credibili solo quando avranno interamente liberato il territorio ucraino e quando accetteranno il diritto dell’Ucraina di entrare a far parte della Nato, se è questo che vuole. Ecco, questo è precisamente il diritto che gli Stati Uniti e i suoi alleati sono chiamati a garantire e a rendere effettivo: quello alla scelta e all’autodeterminazione (o sovranità, parola più in voga di questi tempi) nazionale. Si può pensare degli accordi con la Russia: a patto che, tra le condizioni, ci sia anche il riconoscimento integrale della libertà delle nazioni dell’Est Europa di adottare la politica estera che credono più confacente ai loro interessi. Per il resto, pensare di collaborare coi russi e di stabilire assieme dei limiti agli armamenti, aspettandosi che loro rispettino le condizioni pattuite è pura utopia: se quelle condizioni verranno rispettate lo saranno solo dagli Stati Uniti e dai suoi partner, ma non certo dalla Russia che, al contrario, è più probabile che veda in questa nostra auto–limitazione una straordinaria occasione. Laddove ci fidassimo c’è da star certi che la nostra fiducia malriposta verrebbe usata come un’arma contro di noi: Putin continuerebbe ad ingrossare il suo arsenale e noi ci ritroveremmo sostanzialmente sprovvisti della forza e degli equipaggiamenti necessari per fronteggiarlo, in caso di nuove “alzate di testa”.

Piaccia o no, non è pensabile una collaborazione con la Russia per garantire la sicurezza e la stabilità globale: ci dividono intenti e obiettivi geo-politici, forme di civiltà e di governo del tutto diversi e inconciliabili. Se la Russia ha dato vita all’asse con la Cina non è stato, come alcuni sostengono, perché emarginata dall’Occidente, ma per comunanza di intenti, aspirazioni e progetti. I conflitti del mondo moderno non si combattono per ragioni economiche o politiche, ma per motivi culturali; e in questo contesto ogni civiltà cerca di ampliare la sua sfera d’influenza e di proteggersi come meglio può da tutte le altre.

In ogni caso, quale che sia la risposta occidentale a un’eventuale attacco russo, è probabile che a farsi più male saranno veramente gli aggressori russi. Militarmente abbiamo la forza di reagire e di contrastare le truppe di Mosca; ed eventuali sanzioni economiche colpirebbero sicuramente i nostri interessi (per esempio, quelli degli imprenditori italiani che hanno i loro interessi in Russia e che hanno proficui scambi con questo Paese), ma per i russi sarebbe ancora peggio: se nessuno comprasse più il loro gas – del quale sono i principali esportatori – rivolgendosi ad altri Paesi produttori (tra cui gli Stati Uniti o l’America Latina) o aumentando l’estrazione in loco (come nel caso dell’Europa), sarebbe un duro colpo per l’economia di quel Paese, che non è sicuramente tra le più floride, diciamolo pure. Pare, infatti, che questo dato sia stato sottovalutato: ci siamo preoccupati, giustamente, di come faremmo senza il gas russo, ma nessuno si è posto il problema di cosa farebbero i russi senza più nessuno disposto a comprare il loro gas. Chissà che non sia proprio questa la strategia americana in caso di invasione: quella di condurre la Russia a un sostanziale isolamento economico, oltre che politico.

Rassegniamoci a vivere una nuova Guerra fredda nei prossimi decenni, che vedrà la contrapposizione tra il mondo libero, guidato dagli Stati Uniti, e le autocrazie, con a capo Russia e Cina. Rassegniamoci al fatto che episodi come quello ucraino saranno sempre più frequenti nei territori posti al confine tra le rispettive sfere d’influenza, che saranno le zone nelle quali potrebbero verificarsi sconti e tensioni tra eserciti rivali. Rassegniamoci all’idea che tale guerra si combatterà anche e soprattutto dal punto di vista economico. Ragion per cui faremmo bene ad attrezzarci in maniera appropriata e a difendere il nostro territorio e la civiltà che esso racchiude: tanto per cominciare perseguendo e portando a termine l’obbiettivo (sicuramente ambizioso, ma non per questo impossibile) dell’indipendenza energetica; di una politica estera e militare europea e concordata con gli Stati Uniti e di una riforma dei rapporti economici, specialmente con la Cina, che sta usando l’economia come i suoi alleati russi usano l’energia, vale a dire come strumento di conquista e di sottomissione.

Aggiornato il 16 febbraio 2022 alle ore 11:06