Il commander-in-chief che riscrive la Storia

Donald Trump è il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America. Il tycoon newyorkese ha vinto polverizzando Hillary Clinton. Che colpo! Un risultato che cambia la Storia, come lo sbarco sulla Luna o la caduta del Muro di Berlino.

Parliamoci chiaro: questa tornata elettorale americana non era paragonabile a nessun’altra svolta in precedenza. Non lo era per i toni virulenti usati dai contendenti, per lo spocchioso sussiego con cui le élite finanziarie e culturali occidentali hanno accolto la discesa in campo dell’“impresentabile” Donald. Ma non lo è stata anche per il ruolo partigiano svolto dai media, sia americani sia europei, che hanno suonato un’unica campana a beneficio dell’icona Hillary. Nessuno dei salotti buoni di entrambe le sponde dell’Atlantico ha voluto, neanche per un istante, contemplare la possibilità che Trump, il repubblicano anomalo, potesse vincere anche a dispetto del suo partito che gli ha remato contro. L’ostinazione a non guardare in faccia la realtà è stata proporzionale solo all’incredulità mostrata nell’assistere allo snocciolamento dei dati elettorali che tracciavano i contorni di una rivoluzione democratica. Già! Perché il voto americano ci racconta di un mondo, originariamente moderato, che è andato oltre gli steccati della contrapposizione tradizionale “destra-sinistra” e si è ribellato a un destino di declino e di impoverimento avvertito come il frutto avvelenato di una politica asservita ai soli interessi del capitalismo finanziario globale.

Trump ha vinto contro i predatori dell’economia di carta da vindice di quella “Old Economy” fatta di ponti e di strade da costruire e d’industria pesante da rimettere in moto. Ha vinto perché si è posto alla testa, come un moderno Louis de La Rochejaquelein, di un’insospettata Vandea del terzo millennio. Donald si è cucito addosso i gradi di commander-in-chief di un esercito in marcia, popolato da custodi dell’anima rurale americana, da strati di ceto medio impoveriti dagli effetti della globalizzazione, da masse operaie messe in crisi dalla concorrenza sleale della manodopera clandestina e dall’abbassamento del potere d’acquisto dei salari, da comunità urbane e periferiche preoccupate dall’aumento esponenziale della criminalità connessa all’immigrazione illegale e spaventate dal ritorno del terrorismo sul suolo nazionale. Trump ha saputo leggere i segni premonitori di un’onda sismica che le élite democratiche e i loro supporter non hanno voluto, o saputo, cogliere. Il tycoon si è presentato all’elettorato americano dicendo: sono qua per risolvere i vostri problemi e darvi una speranza. Viceversa, la signora Clinton ha calcato la mano sul suo essere specchio di una continuità con il passato come se questo rappresentasse un merito da vantare e non una colpa da emendare. L’errore che gli ambienti democratici hanno commesso si è focalizzato sulla sopravvalutazione dell’operato del presidente uscente, Barack Obama. Il mainstream del politicamente corretto ha lavorato alla rappresentazione idilliaca di un’America risorta dalle sue ceneri dopo il crollo del 2007. Sbagliato! Un’America siffatta non esiste, mentre ce n’è una reale che nelle urne ha presentato un conto assai salato all’inquilino della Casa Bianca. Sarebbe in errore chi dovesse interpretare il risultato odierno come viziato dagli scandali legati alla storia personale di Hillary Clinton. Trump avrebbe vinto egualmente, anche in assenza della polemica sulle email.

La chiave di lettura di questo risultato è il senso di disagio avvertito dalla maggioranza degli americani e variamente declinato. Disagio profondo che gli istituti di sondaggio non hanno saputo rilevare, rimediando l’ennesima figura barbina che li condanna a una definitiva inutilità nella decodifica delle dinamiche elettorali. Ora è tempo che Trump pensi a organizzare la squadra di governo ed a studiare i dossier che lo attendono al suo ingresso nello studio ovale. Non ci vorrà molto per verificare se le promesse fatte si tradurranno in atti politici sostanziali. Per il momento godiamoci la festa.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:58