Se il discorso di Matteo Renzi alla Nazioni Unite è stato sostanzialmente irrilevante, ben altro effetto ha provocato quello pronunciato il 26 settembre, stessa tribuna, dal presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Abu Mazen. In effetti, più che dire, il leader dell’A.N.P., ha tentato una mossa scaltra che ha messo in grande imbarazzo il presidente degli Stati Uniti d’America.
E’ noto che Barack Obama, in passato, non abbia fatto mistero di nutrire una spiccata simpatia per le ragioni dei palestinesi. Abu Mazen, dopo aver attaccato frontalmente Israele con accuse che definire indecenti è poco, ha tentato di porre la questione della sovranità palestinese direttamente nelle mani dell’Assemblea Generale dell’Onu, proponendo una calendarizzazione con date certe del processo di riconoscimento dell’indipendenza della Palestina, a prescindere dall’accordo con lo Stato d’Israele. Le accuse di razzismo, di pulizia etnica e di apartheid rivolte al governo di Gerusalemme sono servite ad Abu Mazen da pretesto per seppellire lo schema negoziale accettato dal suo predecessore, Yasser Arafat, a partire dagli accordi di Oslo del 1993. Finora si riteneva che il dialogo tra israeliani e palestinesi, mediato dagli Stati Uniti, potesse essere l’unica formula possibile per giungere a un risultato concreto. Oggi, Abu Mazen dichiara senza tentennamenti: “questa strada non funziona”.
Lo fa nella convinzione che ciò che accadde il 29 novembre 2012, quando l’Assemblea generale votò, a larga maggioranza, l’ammissione dell’ A.N.P. quale stato osservatore non-membro delle Nazioni Unite, possa essere ripetuto per colpire il bersaglio grosso. A questo punta lo spregiudicato leader palestinese. Scatenare il consesso della nazioni contro il nemico israeliano per ottenere il riconoscimento della sovranità palestinese sull’intera Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza, con Gerusalemme est capitale, tanto per cominciare. Non è un caso se Abu Mazen abbia insistito nell’evocare una suggestione: la Palestina come unico territorio al mondo che vive ancora sotto un governo di occupazione. Dall’exploit newyorkese di Abu Mazen possono trarsi alcune sommarie considerazioni. La prima riguarda la politica di Obama nello scacchiere mediterraneo- mediorientale.
Le parole del leader palestinese ne confermano il totale fallimento. Obama ha puntato a fare l’amico dell’Islam, a tutti i costi. E’ giunto a girare le spalle agli alleati storici dell’Occidente in quella regione pur di accreditarsi come lord protettore dell’islamismo politico. Risultato: Abu Mazen, forte del suo accordo con i terroristi di Hamas, ora scarica l’amministrazione americana e la vuole fuori dal processo di risoluzione del contezioso con Israele. Altra conseguenza riguarda la situazione di crisi che l’Occidente sta affrontando con la guerra scatenata dal fondamentalismo dell’Is. E’ di tutta evidenza che Washington abbia bisogno di tenere stretti all’interno della coalizione tutti i paesi arabi dell’area perché il conflitto non sfoci in guerra aperta di civiltà, come vorrebbero quelli dell’Is. Abu Mazen l’ha capito per cui sta cercando d’alzare la posta sul fronte degli accordi di pace israelo-palestinesi, per ottenere non dal processo negoziale ma dalla congiuntura della guerra, quanti più vantaggi possibili. Inoltre, il leader palestinese ha valutato il peso che gli eventi bellici in atto potrebbero determinare negli scenari futuri.
La guerra all’Is delegata, sul terreno, alle forze presenti “in loco” è destinata, in caso di successo, a consacrare la nascita di un stato autonomo dei curdi. Ciò rappresenterebbe la creazione di un’enclave democratica nel cuore di una regione dominata dalla presenza di paesi lontani dalla tradizione liberale dello stato di Diritto. La costituzione di un agguerrito nucleo statuale palestinese farebbe da contrappeso meridionale al radicamento di un Kurdistan autonomo e aperto all’Occidente. Ciò non dispiacerebbe affatto alle due potenze regionali che, per motivi opposti, non vedono di buon occhio un’evoluzione della guerra all’Is in tal senso: la Turchia, da una parte, e l’Iran, dall’altra. C’è, quindi, da augurarsi che il discorso bugiardo e istigatore d’odio contro Israele pronunciato da Abu Mazen serva almeno a restituire un po’ di lucidità a quegli occidentali, soprattutto europei, che hanno con troppa facilità dimenticato cosa sia e che funzione svolga Israele in quel contesto.
Soprattutto non dimentichino il diritto storico che gli israeliani hanno di vivere in pace su quella terra, che è la loro terra. La smettano una buona volta, le cancellerie del vecchio continente, di giocare a fare “gli antisemiti di ritorno” e si diano una regolata. Si abbia la consapevolezza che, nella percezione di una parte consistente del mondo arabo, ogni cedimento occidentale sulla questione palestinese rappresenta un passo avanti nella biblica guerra per la cacciata degli ebrei dalla terra dei Padri.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:49