Voci dal ceto medio La storia di Raffaele

A rischio di sembrare monotoni ma continuiamo a pensare che insistere, come attualmente fa il centrodestra, sull’unità dei moderati per vincere le prossime prove elettorali costituisca un obiettivo fallace, foriero di pericolose delusioni. Più volte abbiamo battuto su di un punto: il moderatismo, come fenomeno politico, si lega in modo indissolubile alla storia della classe media della società italiana. Oggi quell’entità, che ha formato il blocco sociale di riferimento del centrodestra, non esiste più, almeno nella forma in cui l’abbiamo conosciuta negli ultimi trent’ anni. Per dimostrarlo, piuttosto che attardarsi in analisi complesse che finiscono per annoiare i lettori, o stare lì a snocciolare dati statistici tanto incomprensibili quanto rigirabili ad uso e consumo dell’opinionista di turno, è preferibile raccontare casi, narrare storie che pur non costituendo una casistica condotta con criteri di rigore scientifico, possono aiutare, in modo empirico, a comprendere come il mondo restituisca una realtà alquanto diversa da quella delineata dall’analisi politica. Comunque, sebbene si tratti di numeri infinitesimi, essi anticipano con buona approssimazione ciò che accadrà a breve.

Il presidente Silvio Berlusconi conta di recuperare nelle ultime settimane il voto dei “moderati” con una mirata campagna di comunicazione. Gli auguriamo che sia così, ma senza voler essere dei menagramo, è doveroso dare conto di alcune defezioni certe. Incominciamo da Raffaele, napoletano ventitreenne che alle prossime Europee non voterà per Forza Italia, come invece ha fatto negli ultimi anni con il Popolo della Libertà, non perché non creda più nella leadership berlusconiana e neppure perché voglia restarsene a casa a recitare la parte del deluso. Troppo giovane. Grillo non l’ha conquistato e Renzi, per uno come lui, resta una specie di alieno. Allora, si chiederanno i lettori, perché non intende recarsi alle urne? La risposta è semplice: perché il 25 maggio prossimo lui non ci sarà. È già a Londra da un po’ di settimane. Non è andato per uno stage di studio e neppure per una vacanza. Se n’è andato per cercare un lavoro lontano dall’Italia. E l’ha trovato, il lavoro. Lì, Oltremanica. Raffaele una testa che ragiona ce l’ha, sebbene la sua non sia fuga di cervello ma di braccia e di gambe. Ma facciamo un passo indietro per raccontare la sua storia.

Diplomato con una maturità scientifica, del tutto inutile per entrare nel mercato del lavoro, è passato per la trafila universitaria iscrivendosi alla facoltà di Storia. L’idea era quella di inseguire una passione. Come spesso accade con le passioni, è durata poco. È servita una prima permanenza a Londra (motivo ufficiale: approfondire lo studio della lingua inglese) durata alcuni mesi per metterlo in contatto con il mondo del lavoro e fargli comprendere che a volere essere concreti bisognava pensare ad altro piuttosto che insistere a percorrere una strada senza sbocchi apparenti. Allora Raffaele che fa? Torna in Italia e si iscrive a un corso di formazione professionale per commis di cucina, insomma: aiuto cuoco. La cosa è seria. Impara e dopo quindici mesi ha un “pezzo di carta” che potenzialmente potrebbe aiutarlo a incrociare il mercato del lavoro. Raffaele è figlio unico e ha un padre lontano e una madre che vive la condizione di “divorziata”. Lui è “mammone”, non se la sente di espatriare. Allora cerca occupazione nella sua città: Napoli. Compila il curriculum in formato europeo e inizia a girare. Batte le strade del centro, di Chiaia e del Vomero, i quartieri “buoni”. Niente da fare. Poi prova in periferia. Le uniche proposte che gli arrivano hanno dell’osceno. Poi finalmente capita l’occasione. Un ristorantino che fa piatti veloci lo ingaggia come aiuto cuoco. In realtà diventa un tuttofare. Lavora mediamente 10 ore al giorno per sei giorni settimanali. Mattina e sera. Uno stacco nel primo pomeriggio. Il suo posto è in cucina, ma se occorre fa anche le pulizie, e serve ai tavoli. Il salario che gli viene corrisposto settimanalmente è di 120 euro, omnibus. 480 euro in un mese. Rigorosamente a “nero”. Nessun contratto, nessuna garanzia. L’unica formazione che ha ricevuto dal datore di lavoro è quella di scappare dalla porta di servizio qualora, nel locale, dovesse piombare la “finanza” o l’ispettorato del lavoro. Raffaele pensa di aver fatto “bingo!” Perché uno stipendio del genere non è frequente per chi è alle prime esperienze. Una nota catena di pizzerie, a cui aveva presentato il curriculum, gli aveva offerto di lavorare per lo stesso carico orario giornaliero soltanto con un rimborso mensile di 200 euro. Per l’occhio del mondo si sarebbe trattato di uno stage, che non prevede retribuzione ma solo rimborso spese. Per la realtà si trattava di sfruttamento selvaggio. L’esperienza al ristorantino dura alcuni mesi. S’interrompe nel momento in cui il datore di lavoro, che nel frattempo ha litigato con il cuoco, gli propone di prenderne il posto alle stesse condizioni salariali. Raffaele è un bravo ragazzo, ma non è fesso. Saluta, ringrazia e se ne va. Per un po’ di tempo resta a casa a ingrossare le fila dell’esercito regolare dei disoccupati. All’improvviso, un’altra chiamata, un’altra opportunità. Questa volta il settore è diverso da quello a cui aspirava. Viene contattato da un’agenzia di motorecapiti. Il lavoro è pagato a cottimo: 1,70 euro a consegna. La ditta ti mette a disposizione il ciclomotore, il casco e la pettorina. Null’altro. Anche qui, il “nero” è di rigore. Nessuna forma assicurativa, nessun contratto, nessuna cautela. Più consegni, più guadagni. L’orario è flessibile ed è quello dell’apertura degli uffici. Sballottato da un punto all’altro della città, e oltre, devi essere Mandrake per fare dieci consegne in un giorno. Tradotto: ti distruggi il fondoschiena per portare a casa 17 euro, se va bene. Una soddisfazione. Di più: una favola. Ma, come tutte le favole, dura poco. Con l’arrivo della cattiva stagione il lavoro rallenta. Il titolare della ditta lo convoca e gli dice: “Si un bravo ragazzo, ottimo lavoratore, ma gli affari diminuiscono e per te non c’è posto. Ciao”.

Raffaele, torna a casa e affronta la madre: “Qui non c’è niente per me. Devo ripartire”. Tra lacrime e sospiri, il 2 aprile Raffaele è sul volo da Napoli, destinazione Londra. C’è già stato. Sa come muoversi. Non è solo, con lui un amico che vuole tentare la stessa avventura. Subito una stanza in una specie di ostello, soltanto un po’ migliore. Costo: 110 sterline alla settimana. Il 3 aprile, inizia a girare per consegnare alcuni curriculum predisposti in inglese. Ha qualche idea a chi darli. Ne consegna tre. Dopo 24 ore viene contattato da due dei ristoranti a cui si era rivolto. Il 4 aprile si reca per la prova di rito in uno dei due. È il fine settimana. La prova ha successo. Lunedì 7 aprile Raffaele viene confermato e immediatamente contrattualizzato. In meno di cinque giorni è arrivato a Londra, ha cercato lavoro e l’ha trovato. Riceverà una paga mensile calcolata a ore lavorate per ognuna delle quali riceverà 8 sterline. La giornata lavorativa è di 7 ore. Fatti i debiti conteggi, Raffaele attende di incassare, per la sua prestazione di aiutante cuoco, circa 1450 sterline mensili che, convertite in euro, sono al cambio attuale 1.766 euro. Quanti anni in Italia devi sgobbare per ricevere una paga così dignitosa?

Raffaele non è sottoproletariato urbano. La sua famiglia appartiene a quella che un tempo era la buona borghesia. Genitori laureati. Un nonno magistrato. Ha studiato in scuole private. Ha viaggiato, conosce la Spagna, la Grecia, l’Austria, l’isola di Malta e naturalmente l’Inghilterra. Ha studiato la lingua inglese. Quando è partito vestiva in modo casual ma con decoro. Niente valigia di cartone ma il trolley d’ordinanza. Le statistiche lo avrebbero conteggiato nel novero dei giovani del ceto medio, se fosse rimasto. Ma non è rimasto. Questo è il punto. Mentre si filosofeggia sulle grandi opportunità dell’Italia e sui Jobs Act miracolistici di Renzi, qui c’è una generazione di cui non si ha più notizia che sta silentemente evaporando. È vero, una rondine non fa primavera e Raffaele è solo una rondine. Una bella rondine. Chi ha perso oggi non è lui, non è la sua famiglia, è l’Italia. E quel centrodestra, a cui per tradizione familiare e per spirito d’osservazione, egli ha sentito di appartenere. Il 25 maggio dalle urne usciranno valanghe di voti per Forza Italia. Tuttavia, uno mancherà. Forse una riflessione su quell’uno che mancherà all’appello varrebbe la pena di farla. Per comprendere meglio. E agire.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:48