Pirro fu re dell’Epiro tre secoli prima dell’avvento di Cristo. Fu anche un irriducibile nemico di Roma. Combattè sul suolo italico battaglie cruente, e vinse. Ma il prezzo della vittoria fu così alto da non giustificare l’impresa. A lui è attribuita la frase: “Un’altra vittoria come questa e me ne torno in Epiro senza più nemmeno un soldato”. Dalla sua vicenda trae origine l’espressione “vittoria di Pirro”, ad indicare un successo che nella realtà non è tale giacché il prezzo pagato per ottenerlo è di gran lunga superiore al vantaggio ricavato.
Orbene, il presidente Barack Obama a L’Aja ha conseguito, per la sua crociata anti-russa, la classica vittoria di Pirro. Nei giorni del vertice mondiale sulla sicurezza nucleare, il presidente americano, infervoratosi per la vicenda ucraina, ha tentato di convincere i suoi partner europei ad assumere una posizione di rottura con Mosca. Ha voluto tenere un summit formato G7. Ma Obama ha strappato ai partecipanti soltanto la disdetta del programmato incontro annuale dei Paesi del G8 che avrebbe dovuto svolgersi in giugno a Sochi, città simbolo della politica putiniana. Lui continua a dire che la Russia è stata scacciata dal giro dei grandi. Gli europei, con la Germania in testa, che hanno i piedi piantati a terra e le armi nucleari russe puntante al fianco, minimizzano parlando di sospensione in attesa della soluzione della crisi. C’è una bella differenza.
Dalle parti di Berlino e di Bruxelles si valuta che l’approccio al contenzioso ucraino non possa essere segnato dallo scontro frontale con il partner russo, per molte ragioni. In primo luogo, vi sono interessi strategici e commerciali da considerare con attenzione. In secondo luogo la sola idea di tornare indietro al clima della guerra fredda sarebbe la cosa più stupida e pericolosa da fare. Sono aperti molti dossier nei quali il contributo della dirigenza moscovita è indispensabile: dalla crisi siriana alla questione del controllo della proliferazione nucleare in Iran, passando per la soluzione del nagoziato israelo-palestinese. Inoltre, vi è la questione energetica che ha il suo peso. La Russia negli ultimi anni è divenuto un partner strategico per l’Europa nel settore delle forniture di gas. Ora, Obama vorrebbe spingerci a rompere con Mosca promettendo di sostenerci sul fronte energetico. Che bella prospettiva! Per noi sarebbe come tornare indietro di decenni.
Altro aspetto che frena gli ardori europei riguarda specificamente l’Ucraina. In passato la Merkel e soci avevano guardato a Kiev per le sue potenzialità di mercato. Nessuno aveva in testa di andare a ficcarsi in un contenzioso che dura dai tempi del secondo conflitto mondiale e oltre. Nessuno voleva farsi carico della quantità di odio che la popolazione di etnia autoctona nutre verso la parte russofona che coabita il Paese e contro la Russia in generale. Il nazionalismo, che ha preso la mano ai manifestanti di piazza Maidan, usa parole d’ordine che non sono esattamente in linea con i principi di democrazia e di pace a cui sono ispirate le “carte” fondamentali del Patto europeo.
La telefonata intercettata della Tymoshenko è paradigmatica. Per quanto sia comprensibile che lei abbia un carico d’odio supplementare nei riguardi di coloro che ritiene responsabili della sua detenzione, non è tuttavia giustificabile la voglia, confessata all’interlocutore telefonico, di pareggiare il conto lanciando un’atomica sulla parte russa della popolazione ucraina. È dunque giusto chiedersi: siamo proprio certi di volerci far trascinare in una situazione a limite dello scontro bellico per sostenere acriticamente le parti di fanatici nazionalisti ucraini?
La risposta dell’Amministrazione Obama è chiara ed ha il sapore di una dichiarazione di fede incrollabile: andare fino in fondo! Noi tutti sappiamo che Obama, di politica degli equilibri internazionali, mastica poco (financo un quasi imbalsamato Jimmy Carter, che ai suoi tempi di guai in politica estera ne ha combinati parecchi, parlando della crisi odierna al “David Letterman Show” a confronto di Obama è sembrato un gigante). Finora ha sbagliato tutte le mosse che aveva a disposizione nei vari quadranti dello scacchiere. Ora sta commettendo un ulteriore errore nell’insistere sulla politica di isolamento della Russia. In tal modo cancella vent’anni di sforzi, anche italiani, volti a tenere la potenza ex sovietica all’interno del contesto occidentale e in partenariato con la Nato. Tuttavia, c’è da presumere che gli alleati non lo faranno agire in totale libertà. Non è un caso che non sia stato deciso alcunché in materia di sanzioni economiche. È evidente ai partner europei quanto la partita sia delicata per essere giocata con improvvisazione e con un sovraccarico di tensione da furore ideologico.
Nel frattempo Mosca continua a fare le sue mosse. Dopo aver risolto il nodo centrale della Crimea, ha rafforzato la presenza di forze d’attacco lungo il confine ucraino. Sulla esclusione dal G8 la diplomazia del Cremlino ha reagito con freddezza. Il ministro delgli Esteri Lavrov ha commentato, da L’Aja, la rinuncia degli occidentali al vertice G8 fissato a Sochi, in questo modo: “Il G8 è un club informale in cui non si rilasciano tessere di iscrizione e in cui nessuno può essere espulso per definizione”. Lavrov ha poi spiegato che la formula G8 era stata creata per costituire un luogo di dialogo tra i maggiori Paesi industrializzati dell’Ocidente e la Russia. “Se si ritiene, ha proseguito Lavrov, che il G8 abbia esaurito la sua missione, allora ben venga che se ne faccia a meno”. Restano, per il capo della diplomazia russa, altri tavoli utili per confrontarsi: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, il quartetto per la soluzione della crisi in Medio Oriente, il G6 per il programma nucleare iraniano, il G20 dove ci sono davvero tutti quelli che contano nel mondo.
In concreto, Mosca non dà peso eccessivo alla decisione occidentale di rinunciare all’incontro di Sochi. In compenso elogia e ringrazia i Paesi del Brics che le hanno manifestato piena solidarietà sulla vicenda della Crimea. Ma chi sono i Paesi del cosiddetto Brics? Si tratta di Brasile, Cina, India, Sudafrica, oltre la stessa Russia. Vi pare poco? Ma i dirigenti del Cremlino non hanno voluto lasciare la Conferenza mondiale de L’Aja senza un “souvenir” per Obama e per gli altri partner Nato. La Russia, insieme alla Cina, l’India e ad altre superpotenze nuclari ha opposto un secco “no” alla firma dell’allegato operativo all’accordo proposto. Un bel risultato, non c’è che dire. Questo il bastone, ma c’è anche la carota. Putin ha confermato, in una telefonata con la cancelliera Merkel, che avrebbe accettato, in segno concreto di buona volontà, l’incremento della missione degli osservatori dell’Osce a Kiev. Significa determinare un passo avanti in direzione del dialogo e dell’accertamento oggettivo delle responsabilità di tutti i coattori presenti oggi sul teatro ucraino.
Ma l’Italia che ruolo ha avuto in tutto questo tourbillon di eventi? Praticamente nessuno. In verità qualcosa di sconcertante è accaduto, che meriterebbe di essere approfondito. Dopo il summit del G7 era fissata una cena tra i capi di Stato. Si sa, a tavola si ragiona meglio. Ebbene, Renzi non vi ha partecipato. Se n’è andato prima, dicendo che l’Italia lo reclamava. Ha mandato al suo posto la giovane Mogherini, con il block notes per prendere appunti. Cos’è questa trovata, Renzi? Non dica che non aveva un paio d’ore da dedicare ai grandi della Terra? O forse il menù olandese non era di suo gradimento? Cosa ha voluto significare la sua assenza? Che l’Italia non ha più una linea di politica estera autonoma, come sospettiamo che sia dall’inizio del mandato al Governo Monti? Facciamo quello che ci viene detto? E da chi? Da Obama, dalla Merkel, o da chi altri? O forse, da furbetto del quartierino, non facendosi vedere troppo in giro con gli altri ha voluto lanciare un segnale a Putin del tipo: “Guarda che io non c’entro”?
Pirro vinse qualche battaglia, ma perse la guerra. Caro mister Obama si tenga la sua bella “vittoria”, ma ci lasci tranquilli con le sue crociate a perdere. C’è bastata la Libia!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:44