Dal 23 al 25 maggio 2014 si voterà per rinnovare il Parlamento Europeo, ma ben poche persone ne sono consapevoli. La nostra classe politica parla spesso di fiscal compact, di “immigrazione problema Europeo”, di rivisitazione della spending review, e il popolo cambia canale perché poco interessato all’argomento. Potrei continuare, ma sintetizzo il tutto in una sola parola: deficit di democrazia. Sì, l’Unione Europea è divenuta per l’italiano medio un’entità talmente astratta che il solo parlare di argomenti comunitari invoca una sola e unica domanda: ma chi comanda, chi prende le decisioni in Europa? Domanda più che legittima, visto che le istituzioni Ue (più di 75mila persone) appaiono inaccessibili al cittadino a causa della complessità del loro funzionamento.
D’altra parte tra Parlamento (754 Eurodeputati in rappresentanza di più di 500 milioni di cittadini Ue), Consiglio Ue (funge da “Consiglio dei Ministri dei vari Stati membri” con ben 10 settori di azione, tra cui gli Affari Economici e Finanziari – Ecofin), Commissione (organo Esecutivo, con 28 commissari - responsabile delle “proposte di Legislazione”), un Consiglio Europeo (riunioni di Capi di Stato e di Governo), l’Eurogruppo (coordinamento Ministri Economia Eurozona), la Banca Centrale Europea, Corte di Giustizia e ben 38 Agenzie Ue (del tipo Frontex) e 6 Autorità di Vigilanza, certamente non è facile comprendere quando i nostri politici parlano dell’Ue, di che cosa stiano veramente parlando. D’altra parte quante volte questi ultimi si sono “trincerati” dietro l’Europa? “Ce lo chiede l’Europa” (Riforma pensioni), “lo dobbiamo fare per l’Ue” (fiscal compact).
Il che cela una certa mancanza di fiducia (se non di conoscenza) della complessità del processo decisorio Ue, al punto tale che va sempre più aumentando il numero di decisioni prese in ambito Consigli Europei (metodo intergovernativo), anziché il sistema Comunitario (a doppia maggioranza, 16 nazioni + almeno il 62% di rappresentanza popolazione). Inoltre, l’Eu si regge su un complesso di trattati sia nati in seno all’Eu stessa, sia intergovernativi (tra cui Schengen e Fiscal Compact), così come c’è un’Ue a 28, una Eurozona a 17, e tante altre burocratiche varianti da allontanare qualsiasi essere raziocinante tenti di comprenderne i meccanismi.
I risultati di tutto questo non sono certo allettanti: la crescita economica negativa nella maggior parte dell’Europa, la disoccupazione nella zona Euro ha superato il 12 per cento e la disoccupazione giovanile in Spagna e Grecia è addirittura oltre il 50 per cento. Per molti cittadini non è così evidente che l’Ue o l’euro stiano garantendo loro alcun vantaggio. Anzi, va sempre più avanzando il fronte degli “euroscettici”. Da Alba Dorata in Grecia al Fronte Nazionale francese di Marie Le Pen, ad Alternative für Deutschland, fino al Movimento 5 Stelle in Italia insieme al fronte del leghista Salvini, le spinte all’“autodistruzione” dell’Euro-zona aumentano sempre di più. Per contro, per chi realmente continua a credere nel cammino intrapreso nel 1999, non vi è altra soluzione che accelerare verso l’unità politica dell’Ue, in particolare dell’Euro-zona.
Certo, quale palliativo, si dovrà spingere per la definitiva costituzione di un’Unione Bancaria, mentre la Germania potrà “investire” nei paesi dell’Europa meridionale stimolandone la crescita. Ma queste, così come le tanto attese riforme strutturali del sistema, non potranno far altro che diluire nel tempo ciò che la storia, sin dal 1776 (nascita della “Confederazione Statunitense” – 13 Stati, diventata Unione nel 1789), ci ha insegnato: nessuna Confederazione nel mondo è mai sopravvissuta senza divenire poi una “Federazione” di Stati. L’ultimo esempio di Confederazione è stata L’Unione Sovietica, la cui dissoluzione ha dato libero spazio alla nascita della Federazione Russa (21 Stati e 59 altre entità federali). Ecco quindi che, seguendo il corso degli eventi, bisogna dirigere verso un’Eurozona Stato che faccia riferimento a un unico “Popolo” e a un unico “Ordinamento”.
La crisi dell’Euro-zona e i mutamenti subentrati a livello internazionale, in particolare il Mediterraneo, spingono sempre più verso un’Europa che si manifesti all’unisono. Non si potrà fare a meno di ancorare il proprio futuro alla difesa dei valori dell’identità europea e alla proposta di una “Parlamento Europeo Costituente”, che possa degnamente ridisegnare il complesso geografico (proprio iniziando dalla sola zona Euro), etico, giuridico e sociale del quadro istituzionale andando finalmente verso uno Stato Europeo Federale.
Il modello svizzero, con ogni probabilità, è quello più attinente alle esigenze Europee. Oggi la Confederazione Elvetica (datata 1291) è una Federazione (1848) di ventisei Stati (cantoni) con tre lingue ufficiali (francese, tedesco, italiano + romancio), che risponde perfettamente ai requisiti di base del Federalismo: una comune matrice identitaria, coesistenza di una struttura federale funzionale per poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) e una territoriale, una rigorosa applicazione del principio di sussidiarietà verticale e un massivo impiego di uno strumento di democrazia diretta quale è il “referendum”.
In termini finanziari, un bilancio e una capacità impositiva che consenta autonomia al livello federale. Il bilancio federale Usa è equivalente a circa il 23% del Pil; quello Svizzero al 12% del Pil. Ben diverso, per contro, potrebbe essere la realizzazione di “una Federazione degli Stati Uniti d’Europa” che consenta il trasferimento di compiti a livello Federale, quindi non più di pertinenza dei singoli Stati membri. Tra questi sicuramente la politica estera, l’organizzazione e le spese militari e della sicurezza federale (incluso l’immigrazione), la ricerca e sviluppo, la politica del lavoro e l’assistenza previdenziale e sanitaria (incluso il ruolo dei sindacati); l’integrazione energetica e i trasporti (reti trans-europee) e competenze esclusive in materia economica e monetaria.
Con il solo “accentramento” menzionato, oltre al risparmio indotto dall’unificazione di molte strutture e mezzi (Affari esteri e cooperazione internazionale – dogane – FF.AA. – Gdf – polizia – intelligence – ecc.), il budget federale potrebbe orientarsi al 5% massimo del Pil, con autonoma capacità impositiva federale (tassa sulle persone giuridiche e una parte del gettito Iva da sgravare a livello locale). Un sogno? No, una semplice realtà, solo se lo vorremo!
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41