Quando c’è crisi e si fanno sacrifici inenarrabili per tirare avanti, anche i remoti echi di sprechi lontani rimbombano nei nostri timpani come note stonate. E fanno male quelle note, molto male a quanti, come molti italiani, sono alla canna del gas. La notizia ci giunge dalla stampa estera giacché i nostri media sono troppo concentrati sulle risse del cortile di casa nostra per preoccuparsi di segnalare ciò che avviene altrove. Si tratta dei contributi che l’Unione Europea elargisce, a titolo di solidarietà, all’Autorità Palestinese.
I fondi dovrebbero di regola essere destinati a progetti di sviluppo per i territori “occupati” da Israele e rivendicati dai Palestinesi. Di questi contributi se n’è già parlato a proposito del fatto che l’Ue abbia deciso di negare alle persone e agli enti di nazionalità israeliana residenti nelle zone collocate al di fuori della linea verde, il diritto a concorrere ai bandi di gara per l’assegnazione dei finanziamenti, a partire dall’annualità 2014, perché considerati alla stregua di occupanti illegali dei territori-bersaglio dell’intervento Ue. Nel contempo, però, con spudorato doppiopesismo si consente ai soggetti privati afferenti all’Olp o all’Autorità Palestinese l’opportunità di accedervi senza che siano richieste formali dichiarazioni in ordine al riconoscimento del diritto all’esistenza pacifica dello Stato d’Israele e alla sicurezza dei suoi confini.
Ora il settimanale britannico “Sunday Times” ci informa dell’esistenza di un rapporto della Corte dei Conti Europea nel quale si asserisce che nel periodo di esercizio 2008/2012, l’Autorità Palestinese “abbia sprecato, sperperato o perso nella corruzione almeno 1,95 milardi di euro” concessi dall’Ue in aiuti allo sviluppo. In pratica, gli ispettori europei svolgendo un audit sui progetti finanziati si sarebbero accorti che i denari erogati siano finiti dappertutto tranne che nelle iniziative per le quali erano stati concessi fondi in misura, oserei dire, generosa.
Sembrerebbe, il condizionale è d’obbligo visto che il rapporto non è ancora stato depositato e quelle raccolte dal Sunday Times pare siano indiscrezioni ufficiose, che i controlli abbiano evidenziato un alto livello corruttivo presente nella burocrazia palestinese a cui è stato affidato il compito della gestione dei fondi. Un’indagine di “Trasparency International”, una Ong con sede a Berlino, a cui si deve la creazione di uno specifico indicatore che è l’Indice di corruzione percepita (Cpi), rileva che tra i dirigenti palestinesi il fenomeno del nepotismo sia divenuto un costume abituale nella gestione della cosa pubblica.
Riguardo agli accadimenti registrati nella striscia di Gaza, la fonte giornalistica sostiene che i soldi siano stati impiegati per finanziare altri tipi di iniziative. Dal momento che ad amministrare Gaza ci sono le forze di Hamas, branca dei Fratelli Musulmani in Palestina, non bisogna essere un genio per intuire quale destinazione abbiano avuto i nostri denari. Già, i nostri denari, perché presi come siamo da questo autodafé quotidiano sulle nostre incapacità rispetto alle virtuosità degli altri partner europei, facilmente dimentichiamo che lo Stato italiano sia un contributore netto dell’Ue.
Anzi, nel 2011, siamo stati il primo contributore netto dell’Unione. Tradotto: diamo più soldi all’Europa di quanti ne riceviamo in aiuti. Ne consegue che quel denaro, stanziato per progetti mai realizzati in terra di Palestina, era anche nostro. Ci apparteneva. Avrebbe potuto aiutare le nostre tante imprese in difficoltà oppure alleviare un po’ del disagio che le famiglie italiane provano per l’eccessivo carico fiscale che devono sopportare. E noi, invece, l’abbiamo dato all’Ue perché lo elargisse a quei galantuomini dei politici palestinesi cosicché potessero migliorare lo stato, già pingue, delle loro finanze personali o potessero dilettarsi a comprare armi per fare terrorismo.
Forse il nostro denaro è servito alla costruzione del più efficiente tunnel, scoperto qualche giorno fa dagli uomini dell’Idf, che da Gaza penetra per 2,5 chilometri di profondità in territorio israeliano. Secondo gli esperti la galleria, attrezzata con binari per vagoni e illuminazione, è stata costruita per colpire obiettivi civili e militari dentro Israele.
È a questo tipo di sviluppo che abbiamo contribuito? Nella Carta di Hamas, lo statuto del Movimento di Resistenza Islamico, all’articolo 8 c’è scritto: “Allah è il suo fine, il Profeta il suo capo, il Corano la sua costituzione, il Jihad il suo sentiero e la morte per la gloria di Allah il suo desiderio più caro”. Non mi pare che queste belle intenzioni siano presenti negli atti istitutivi dell’Unione Europea. Se si accettano soldi da qualcuno un po’ di decenza vorrebbe che almeno gli elementari princìpi di diritto naturale venissero condivisi con chi ti tende una mano per aiutarti.
Proprio per niente! La logica resta quella della violenza assassina per combattere i “nemici sionisti” e i loro alleati. E se questa banda di delinquenti sanguinari non ha fatto maggior danno lo si deve solo all’azione di contrasto svolta con successo in questi anni da Israele. Azione che noi europei intendiamo indebolire, regalando a pioggia finanziamenti ai terroristi perché realizzino atti criminali, magari più efficaci grazie al supporto di nuova tecnologia, aquistata con denaro fresco proveniente direttamente dalle casse dell’Unione Europea.
Nella carta costitutiva dell’organizzazione terroristica si legge: “L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo; ma l’albero di Gharqad non lo dirà, perché è l’albero degli ebrei”.
Ecco chi abbiamo finanziato! Mi chiedo, allora, dove siano i custodi professionisti del moralismo italiano, pronti a puntare l’indice accusatore verso i propri nemici nostrani che sono sempre, guarda caso, corrotti e corruttori, frodatori dello Stato e dell’Ue, truffatori di ogni risma. Insomma, “mariuoli”. E di quelli invece che portano la kefiah, e gridano “morte a Israele, e morte ai suoi sodali occidentali”, nel mentre contano le banconote di cui i “crociati” hanno voluto graziosamente omaggiarli, che cosa pensano? Cosa dicono i valenti Savonarola del giorno dopo di questo latrocinio perpretato ai nostri danni? Una convincente risposta nel merito sarebbe gradita.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:41