Finalmente per l’Italia una buona notizia dal fronte della politica estera. L’incontro bilaterale tra il nostro Paese e la Federazione Russa c’è stato. Protagonisti della giornata romana, lo scorso 6 agosto, sono stati i ministri degli Esteri e della Difesa dei rispettivi governi, secondo la formula del 2+2. Per l’Italia dunque erano al tavolo la ministra Bonino e il suo collega della Difesa, Mario Mauro. Le agenzie riportano commenti molto favorevoli circa gli esiti delle consultazioni. E’ chiaro che bisogna sempre fare la tara alle veline passate dagli uffici stampa dei ministeri ai media. Fatto rassicurante, però, è che la giornata di lavoro fosse stata preceduta da un incontro preparatorio di specifici dossier, tenuto lo scorso giugno nel Paese delle cupole d’oro dal vice ministro degli Esteri Marta Dassù con il suo omologo russo, Aleksej Meshkov.
Non vi è dubbio che la grande competenza tecnica della dottoressa Dassù abbia consentito alla delegazione italiana, discutendo in concreto di collaborazione nei settori energetico e industriale, di fissare i confini entro i quali fare scorrere nel modo più appropriato il successivo incontro interministeriale. Speriamo soltanto che i titolari dei dicasteri si siano attenuti all’agenda evitando inutili deragliamenti. Mi riferisco in particolare alla Ministra Bonino e alla tentazione che può averle preso la mano di declamare anche al ministro russo Lavrov una giaculatoria sui diritti umani violati in Russia e, di rimando, nelle repubbliche delll’ex Unione Sovietica, in una in particolare: il Kazakistan. Così come, ci si augura, non sia stata tirata in ballo da parte italiana la questione siriana, con l’appoggio incondizionato che il governo di Mosca sta assicurando all’inossidabile capo regime Bashar Hafiz Al -Asad.
Posto che l’Italia non sia considerata dal partner russo una superpotenza con la quale discutere degli assetti geopolitici mondiali, l’unica cosa che doveva essere affrontata con decisione riguarda lo stato delle relazioni commerciali tra i due Paesi. E, a sentire il ministro della Difesa russo Sergey Shoygu, pare che ciò sia stato fatto se è vero che sia stata raggiunta un’intesa per una coproduzione di elicotteri e mezzi militari da trasporto per volumi che, nella fase di massima attività, si stima copriranno il 50% delle rispettive produzioni. D’altro canto è noto che la Russia consideri l’Italia un partner strategico. Non è un caso che, dopo due anni di silenzio, i due governi abbiano ripreso a parlare e, soprattutto, l’abbiano fatto attraverso la formula del 2+2.
Si tratta di un privilegio che il governo russo riserva a pochissimi altri Stati. Sarebbe auspicabile, in futuro, che questa modalità di relazione tra i nostri Paesi sia resa più stabile, magari garantendo periodicità agli incontri intergovernativi. Sarebbe oltremodo salutare che la nostra autorità di governo si sforzasse di spiegare agli italiani quanto questo genere di contatti sia indispensabile per garantire prospettive di sviluppo ai nostri settori produttivi. Il silenzio, in questo particolare tipo di rapporti, non è buona cosa. E noi italiani, tra gli altri enormi prezzi pagati alla gestione commissariale del governo Monti possiamo aggiungere al conto anche l’interruzione delle trasmissioni con uno dei nostri principali partner (forse che l’autoimposizione del silenzio rispondesse a un “desiderata” della Cancelleria di Berlino?). Ancor peggiore del silenzio vi è il modo caricaturale con il quale alcuni media nostrani, utili idioti al servizio di altrui interessi, hanno descritto il tenore dei rapporti tra i capi di governo dei due Paesi, in carica nello scorso decennio.
Ricordate tutte le battute, e le amenità, sulla reale natura dei viaggi di Berlusconi dal suo “amico” Putin? Con quello che è capitato di recente al cavaliere, con la revoca del passaporto, temo che avremo di che rammaricarci della interruzione delle sue spedizioni in terra di Russia. L’unica cosa sensata, per il bene del nostro futuro economico, sarebbe che il presidente Letta andasse in pellegrinaggio ad Arcore, con il seguito dei suoi ministri, ad implorare Berlusconi di cedere alcune pagine della sua agenda di contatti russi e da quella ricominciare per ritessere un significativo rapporto di partenariato commerciale. Siamo in crisi e abbiamo bisogno di produrre per guadagnare, altrimenti non ci rialziamo. Vi è chiaro, eminenti uomini delle istituzioni, oppure no? E’ necessario che, per continuare ad essere il terzo partner commmerciale della federazione russa, l’aratro della diplomazia italiana scavi il solco nel quale seminare ciò che di meglio abbiamo: il made in Italy.
Il mercato russo è assetato di novità che giungono dalle nostre produzioni. Non è un caso se, nel 2011, il comparto che ha maggiormente operato sul mercato russo, sia stato quello dell’abbigliamento, con un volume di esportazioni che ha toccato il miliardo di euro. Anche le manifatture industriali ad alto contenuto tecnologico hanno dato ottima prova, così come i settori dell’arredamento e delle calzature. Questa è la strada da battere rispetto a un mercato di 140 milioni di potenziali consumatori, una classe media in forte espansione e un fabbisogno infrastrutturale di enormi dimensioni. E le eccellenze nostrane sono pronte a compiere il salto buttando il cuore oltre l’ostacolo. Si tratta, dunque, di collegare i fili perché la macchina dell’ interscambio riprenda a girare a pieno ritmo.
Nel 2011, l’ultimo del governo Berlusconi, il volume d’interscambio aveva superato quota 27 milardi di euro. Non vi è dubbio che la partneship con la Russia sia destinata a dare ottimi frutti, se opportunamente coltivata. Sebbene sia pacifico che i due Paesi, come rileva un rapporto dell’Agenzia Italia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane, mostrino una considerevole complementarietà nei rispettivi modelli produttivi ( lo scambio è tra materie prime contro manufatti), tuttavia non si deve trascurare il pericolo che all’export italiano potrebbe giungere dalla concorrenza delle nuove potenze commerciali emerse, in particolare dalla Cina, la cui capacità di sostenere la concorrenza con qualsiasi mezzo è nota a tutti. Il rimedio a un rischio concreto sta interamente nella capacità della nostra produzione di mantenere alto il livello qualitativo di performance, negli aspetti della innovazione e dell’alta tecnologia impegnata nei processi produttivi, da un lato, e, dall’altro, di promuovere, attraverso partenariati internazionali, nuovi scenari strategici, a consolidamento dei presidi manifatturieri esistenti e in vista di quelli di nuova creazione, basati “sugli investimenti esteri diretti sia in entrata che in uscita”. In concreto si tratta, per le nostre aziende, di implementare i rapporti di partenariato con i produttori russi allo scopo di rendere inattaccabile il rapporto di scambio che si traduce in creazione di ricchezza.
E’ dunque legittimo chiedere al nostro governo, e in particolare ai ministri maggiormente interessati dalle relazioni internazionali, di astenersi dal fare pasticci. Le grandi questioni di principio, ancorché nobilissime, non sfamano la nostra gente. Ora ci aspetta il vertice intergovernativo italo-russo convocato il 26 novembre prossimo a Trieste. Si prevede che in quella sede saranno siglati accordi “ destinati a incidere sulla vita delle imprese e delle famiglie e sulla ripresa economica” sono parole della ministra Bonino. Per quella data speriamo che vi sia ancora un governo in grado di sottoscrivere gli accordi presi. In caso contrario sarebbe un suicidio per la classe dirigente di questo paese poiché il tanto evocato, spesso a spoposito, popolo potrebbe essere tentato dallo staccare la spina in via definitiva, non a questa o quella opzione partitica, ma all’intera democrazia come l’abbiamo conosciuta in questi ultimi periodi. Che, a dirla tutta, nenche è una cosa poi tanto bella a vedersi. Figurarsi a starci dentro.
Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 18:39