Carlo Magno, pardon, Magna

Sassolini di Lehner

Da giornalista stagionato, anzi vegliardo, non avendo mai neppure immaginato di condurre inchieste, ordinando lo scoop a deliveroo, just eat, glovo, mi si bloccano le dita. Perciò, non digiterò nulla sui digitatori del quotidiano Domani indagati a Perugia. Meglio rammentare qualcosa dell’editore.

Eccolo sulle consegne di notizie a domicilio:

Con riferimento all’inchiesta di Perugia che ha coinvolto anche alcuni giornalisti del quotidiano Domani da me fondato voglio esprimere la vicinanza nei loro confronti certo che sapranno chiarire pienamente il loro operato professionale. La magistratura saprà senz’altro distinguere ogni eventuale responsabilità nella vicenda. Ancora una volta voglio però ribadire l’importanza di difendere il fondamentale diritto alla libertà di stampa inteso sia come diritto ad informare ed essere informati sia, con riferimento specifico al mio ruolo di editore, come obbligo morale a non interferire in alcun modo nel lavoro dei giornalisti, come è testimoniato dalla mia storia nei giornali ora del gruppo Gedi e oggi in editoriale Domani.

Da notare che, dopo il sostegno di rito ai dipendenti e la bestemmia sulla libertà di stampa via glovo, il padrone si tira fuori: affari vostri, io non mi sono mai impicciato. Serve un po’ di storia per mettere a fuoco il personaggio.

Siamo alle prime avvisaglie di Mani pulite, Vincenzo Balzamo riceve una valigia gonfia di lire. Non ricordo la cifra esatta, ma, certo, doveva essere sostanziosa. Mittente? L’ingegner De Benedetti, avversario viscerale dei socialisti, che invia, non richiesto e non pattuito, denaro a fondo perduto al partito più demonizzato da la Repubblica. Tangente emblematica che, fra l’altro, smentisce una delle favole del manipulitismo: il finanziamento illecito ai partiti non era imposto o estorto. Il segretario amministrativo del Psi avverte subito Craxi. Bettino si stizzisce e ordina a Balzamo di rispedire immediatamente al non gradito finanziatore contenitore e contenuto. I soldi di De Benedetti non emanano odore gradevole e Craxi possiede naso e memoria buonissimi.

Aprile 1985, lo spiritista di via Gradoli, Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, si avvia a regalare a spese dello Stato un ricco boccone a De Benedetti. I due stipulano un preliminare per la vendita – in realtà, una svendita – della Sme, la finanziaria del settore agroalimentare dell’Iri; cifra pattuita: 497 miliardi di lire.

Tra le clausole magna-magna anche un favore pazzesco: sarà lo Stato stesso ad anticipare la somma, che l’acquirente salderà quasi a babbo morto. Il fetore è da fogna a cielo aperto.

Renato Altissimo, allora ministro dell’Industria, in precedenza aveva riferito a Prodi l’offerta del gruppo Heinz. Romano risponde che Sme non è in vendita.

Altissimo, appreso dell’accordo con l’Ingegnere, domanda le ragioni del ripensamento:

Fammi capire solo una cosa: perché a Carlo sì e a Renato no?

 E Prodi:

Perché Carlo ha un taglietto sul pisello che tu non hai.

L’antigiudaismo da avanzo di sacrestia è tutto nella battutaccia prodiana.

Tocca a Craxi impedire la svendita. La Sme verrà successivamente venduta a più del doppio.

Tra i misteri dolorosi della nostra giustizia si staglia il procedimento non nei confronti di Prodi e De Benedetti, bensì a carico di Silvio Berlusconi per l’affare Sme. Berlusconi finirà assolto, mentre la strana coppia non verrà neppure spettinata.

30 aprile 1993: l’Ingegnere dichiara alto e forte, coram populo, cioè a la Repubblica:

Non ho mai corrisposto finanziamenti ai partiti politici o a entità a essi collegate.

Per due settimane passa, dunque, come l’unico pulito in un mondo di corrotti e corruttori.

Poi, vien fuori che è soltanto un astutissimo bugiardo.

17 maggio 1993, sul “Corsera” si legge:

L’Ingegnere ha incontrato i giudici consegnando loro un memoriale sulle tangenti pagate dalla Olivetti.

19 Maggio 1993, al “Wall Street Journal” dichiara:

Se dovessi rifare tutto di nuovo, lo rifarei: pagherei le tangenti ai politici per ottenere le commesse pubbliche.

A quale fine quei dieci miliardi di tangenti? Ottenere una commessa da Poste italiane.

La volpe, intanto, lecca il pool di Milano, che gradirà assai le carezze, specie quelle a mezzo stampa:

In Italia negli ultimi quindici anni c’è stato un regime politico che ha prevaricato e taglieggiato l’economia. Grazie all’opera di pulizia fatta dai giudici è diventato possibile sconfiggere la tangentocrazia.

Il pool, dunque, non gli darà pensieri, visto che il porto delle nebbie capitolino s’è trasferito a Milano. Ed è proprio la Procura di Roma che intende arrestarlo.

Dice la Gip Augusta Iannini: “Per me, la legge è uguale per tutti. L’ingegner Carlo De Benedetti è uguale al signor Mario Rossi, al signor Paolo Bianchi. E se i signori Mario Rossi o Paolo Bianchi fossero accusati degli stessi fatti contestati nell’ordine di custodia cautelare all’ingegner Carlo De Benedetti, sarebbero stati arrestati”.

Come sempre, si salva: resta in galera solo poche ore, perché l’Ingegnere è uno che può.

L’Espresso, tanto per coprire di ridicolo la professione, pubblica in prima pagina una non-notizia: “De Benedetti a Roma”. Insomma, Carlo turista nella Città Eterna... mica in carcere.

A Milano è bastata la leccata, tanto che lassù non vanno a verificare in cosa consistesse la commessa pagata miliardi.

Ebbene, si tratta di una rapina, avendo rifilato alle Poste una miriade di stampanti e telescriventi obsolete, che rimarranno inutilizzate, anzi in gran parte intonse e ben impacchettate. Una mega-anticipazione dell’imbroglietto pentastellato dei banchi a rotelle.

I giornali di Carlo, intanto, contendono a Paolo Mieli il primato di colonna portante del manipulitismo a senso unico. Dopo il Governo Ciampi, si profila all’orizzonte la “gioiosa macchina da guerra” di Achille Occhetto. L’informazione debenedettiana è in prima fila per un Esecutivo comunista.

Gli amorosi sensi rossi vengono ricambiati giusto in tempo, a poche ore dall’inattesa vittoria di Berlusconi, con due piatti ricchi mi ci ficco: Omnitel e Infostrada. Ad Omnitel il premio della concessione per divenire il secondo gestore di telefonia mobile. Infostrada, rete telefonica delle Ferrovie di Stato, viene regalata a Carlo per 750 miliardi di lire, ma da versare a rate. Ed ecco l’affarone: l’Ingegnere le vende subito per 14mila miliardi al gruppo tedesco Mannesmann.

Tralascio i contenziosi con la Commissione Tributaria di Roma e i 225 milioni di euro di multa, benché a riprova della potenza mediatica di Carlo, la stampa tace la notizia o, vedi il Corriere della Sera, la sotterra a pagina 37. Non mi dilungo sulla residenza anagrafica e il domicilio fiscale spostati il 2015 a Sankt Moritz.

Per dirla con Bergoglio, io chi sono per giudicare?

Ebbene, non giudico il Carlo Magna editore, tantomeno chiedo la consegna a domicilio di ulteriori informazioni coperte dal segreto. Lascio ai posteri ogni ardua sentenza e, per il momento, gli auguro buon appetito.

Aggiornato il 11 marzo 2024 alle ore 09:20