Vladimir Il’ič Ul’janov, Preside a Lettere

Sassolini di Lehner

La breve orazione funebre di Donatella Di Cesare per la dipartita della brigatista Barbara Balzerani è certamente inquietante, ma può stupire soltanto strabici e smemorati. La docente di filosofia teoretica che rivendica la propria militanza comunista (“La tua rivoluzione è stata anche la mia. Le vie diverse non cancellano le idee. Con malinconia un addio alla compagna Luna”) conferma la patologia endemica in certi atenei e in alcune facoltà, dove all’interno delle variegate materie viene inoculato, propagandato e diffuso il marxismo-leninismo e l’eversione. Nel curriculum necessario per arrivare alla cattedra e divenire associati e, poi, ordinari, la militanza comunista e le ossessioni antisistema sono da decenni titolo decisivo. Le baronie rosse si perpetuano così.

Ricordo l’effetto che ebbe, nel 1977, la nomina a Preside di Lettere e filosofia di Carlo Salinari, stalinista di ferro. Quell’habitat lo conoscevo bene, essendo stato assistente di Walter Binni. Ebbene, nessuno dei miei colleghi – lo stesso Asor Rosa era un famigerato eretico di estrema sinistra – aveva tessere o vicinanze con le Botteghe Oscure. All’improvviso, col nuovo preside di Facoltà, tutti s’intrupparono nel Partito comunista italiano e lo stesso Asor Rosa comprese che l’unica possibilità di diventare ordinario era quella di essere compagno più ligio e ortodosso.

Intanto, però, il sessantottismo e il settantasettismo producevano la progressiva estremizzazione nel corpo docente, proprio come avveniva nella magistratura. Tra i togati “democratici”, non pochi furono attratti da Mao, Lin Piao, Pol Pot, tanto da rifiutare in toto il Diritto “borghese”, per sposare la barbarie del “processo maoista” celebrato negli stadi. Uno dei dilemmi del “magistrato democratico” fu: condannare o no il compagno che commette un reato per la causa? Del resto, marciava spedita pure “Psichiatria democratica”, dove gli eredi di Franco Basaglia teorizzavano che la chiusura dei manicomi non era un provvedimento umanitario, bensì rivoluzionario, perché il malato mentale, reinserito nel tessuto familiare e sociale, avrebbe favorito la dissoluzione della famiglia, del capitalismo e della liberaldemocrazia. Predicavano, di fatto, l’anarchia: il matto non esiste, sono le istituzioni statali che lo creano: scuola, carcere e manicomio causano il disagio mentale, quindi vanno aboliti.

Insomma, l’ubriacatura marxista-leninista e le sbronze anarcoidi, nonché l’utile idiotismo, spinsero idioti e mascalzoni in cattedra a negare l’evidenza, definendo le Brigate... “sedicenti” rosse, ergo “nere”. Ancora oggi si allude al destino del povero Aldo Moro segnato non dalla mitraglietta Skorpion di Prospero Gallinari, bensì da occulte trame istituzionali o complotti statunitensi. Il castrista Giangiacomo Feltrinelli fu dilaniato dal suo stesso esplosivo? Ma quando mai! L’incidente sul lavoro del dinamitardo venne rivenduto dai soliti disinformatori, docenti e non, in omicidio premeditato. Gli assassini non potevano che essere stati i fascisti, i servizi deviati, il Mossad, la Cia. Il 10 febbraio, Giorno del ricordo degli italiani infoibati dai comunisti viene tuttora descritto da docenti universitari come “rovescismo”, uso strumentale delle foibe, mirato a dare legittimità a Giorgia Meloni. Leninismo e ignoranza crassa seminati a spaglio sugli studenti impedirono a Giovanni Paolo II di mettere piede all’Università La Sapienza, cioè a casa sua, visto che l’ateneo romano fu fondato nel 1303 da papa Bonifacio VIII!

Stesso sbarramento, ma direttamente da parte dei seguenti professori della Sapienza, verso Benedetto XVI: Gabriella Augusti Tocco, Luciano M. Barone, Carlo Bernardini, Maria Grazia Betti, Enrico Bonatti, Maurizio Bonori, Federico Bordi, Bruno Borgia, Vanda Bouché, Marco Cacciani, Francesco Calogero, Paolo Calvani, Paolo Camiz, Mario Capizzi, Antonio Capone, Sergio Caprara, Marzio Cassandro, Claudio Castellani, Flippo Cesi, Guido Ciapetti, Giovanni Ciccotti, Marcello Cini, Guido Corbò, Carlo Cosmelli, Antonio Degasperis, Francesco De Luca, Francesco De Martini, Giovanni Destro-Bisol, Carlo Di Castro, Carlo Doglioni, Massimo Falcioni, Bernardo Favini, Valeria Ferrari, Fernando Ferroni, Andrea Frova, Marco Grilli, Maria Grazia Ianniello, Egidio Longo, Stefano Lupi, Maurizio Lusignoli, Luciano Maiani, Carlo Mariani, Enzo Marinari, Paola Maselli, Enrico Massaro, Paolo Mataloni, Mario Mattioli, Giovanni Organtini, Paola Paggi, Giorgio Parisi, Gianni Penso, Silvano Petrarca, Giancarlo Poiana, Federico Ricci Tersenghi, Giovanni Rosa, Enzo Scandurra, Massimo Testa, Brunello Tirozzi, Rita Vargiu, Miguel Angel Virasoro, Angelo Vulpiani, Lucia Zanello.

Insomma, l’elogio funebre della Di Cesare ci ha rammentato quanta subcultura leninista o semplicemente intollerante infesta i nostri atenei.

Aggiornato il 08 marzo 2024 alle ore 09:49