Chi si rivede: i giudici e la politica

Sentivamo di aver perso qualcosa in questi ultimi tempi, per così dire, ricchi di “cose” e persone. A cominciare da Silvio Berlusconi. Forse – anzi, senza forse – deve essere stata una delle tante abitudini che si manifestano. Ma anche, e specialmente, una distrazione da un argomento su politica e potere che si pensava archiviato. Anche perché il gran parlare che se ne fece, circa i gravi danni compiuti, aveva silenziato questi fatti che non si sono mai spenti. Ce lo ricordano alcuni interventi, lo avrete capito subito, che hanno a che fare con i giudici. Che io chiamo i giudici all’italiana, giacché in tutto il mondo è quasi impossibile trovare una magistratura che si occupi (voce del verbo occupare) come da noi di politica. Gli anni passano, le Repubbliche cambiano, ma il cattivo vizio di occuparsi della polis non è mai scemato. Sarebbe meglio, più credibile dire che è noto, da parte della magistratura, il temine di occupazione di spazi politici che non le competono. Ed è semmai in piedi la critica di procedere contro le suddivisioni dello Stato democratico. Dunque, contro gli stessi cittadini. Ce lo ricordano le inaugurazioni dell’anno giudiziario (vedi Il Foglio) nelle città di Genova e Bari, dove il “fattaccio” ha avuto luogo. Ovviamente, non è possibile riassumere le tirate contro il bersaglio politico. Ma, come si può immaginare, queste hanno toccato i punti più significativi fra cui spiccano, come qualcuno aveva previsto, le riforme in esame al Parlamento. E, naturalmente, quelle avanzate dal ministro della Giustizia, Carlo Nordio.

A parte i danni provocati, a sentire certe toghe, dal previsto o prevedibile sistema elettorale maggioritario, sembra persino ovvio che queste dovrebbero occuparsi di ben altro. Le loro ire o se vogliamo, in modo più diplomatico, le loro attenzioni hanno avuto come bersaglio preferito non soltanto il Guardasigilli – forse perché loro ex collega – ma l’intera maggioranza che sembra, per ora, non demordere dalle promesse riforme. Mentre, appunto, una certa magistratura le ha lanciato contro più di un siluro.

È dunque prevedibile che, nei confronti del senso stesso delle riforme del ministro ex giudice, non verranno a cessare nuovi siluri, soprattutto laddove si cerchi di limitare gli spesso strabordanti poteri di non pochi giudici. E soprattutto pm. Il fatto, dunque, è riportare la categoria giudiziaria dentro i confini di un sistema pluralistico democratico dove, per esempio, la stessa obbligatorietà dell’azione penale venga rivista anche a causa dell’abuso, in certe occasioni, di una ipotizzata colpevolezza data sempre per certa. E gli esempi non mancano circa simili “errori giudiziari”. Quale è la ratio di queste alzate di scudi? Non per essere ipercritici, ma l’impressione è che alla categoria giudiziaria-giudicante qualsiasi riforma normativa – per dir così limitativa – appaia come un attacco alla propria indipendenza e autonomia. E quindi, come affermano molti osservatori, al proprio potere.

Questo giornale, con Arturo Diaconale in testa, si è battuto quotidianamente contro le invasioni di campo di non pochi giudici, che da ciò ebbero promozioni non solo fulminanti ma anche alte. Molto alte. Se ne parlò e se ne scrisse per giorni, per anni. E si ebbe l’impressione, dopo molto tempo, che il problema se non risolto, si fosse di molto limitato. Però pare che non sia così.

Aggiornato il 01 febbraio 2024 alle ore 12:30