C’è l’Autonomia… da costruire

C’è da capire, eccome, l’entusiasmo di Matteo Salvini che avrebbe voluto saltare dalla gioia, se fosse stato soltanto un leader di partito (è anche vicepresidente del Consiglio). E se quell’Aula fosse stata meno deserta. Fatto sta che la famosa Autonomia o come la chiamava gutturalmente il miglior Umberto Bossi, ossia la Devolution, ha superato lo step del Senato. Un successo indubitabile, lo capiscono anche i bambini che forse non sanno che quel disegno di legge è una sorta di legge-quadro, vale a dire un sistema di proposizioni e di approvazioni che devono passare verso altri processi, e non sono pochi com’è ovvio, prima di dare effettivi significati alla parola stessa di Autonomia. È dunque una vittoria della Lega, che proprio su questo tema ha puntato occhi e volontà. Ma al tempo stesso è una vittoria di Giorgia Meloni.

Contenti loro, contenti tutti. Come ha mormorato un senatore uscendo dall’Aula. E giustamente, senza trionfalismi, il ministro delle Regioni e delle Autonomie, Roberto Calderoli, ha parlato di “un primo passo importante verso un Paese più moderno”. Quelli del Carroccio tripudiano, alla faccia degli altri partiti “costretti” ad approvare un’Autonomia della quale avrebbero fatto volentieri a meno. Il fatto è che, portando a casa l’Autonomia, la premier può pensare con grande fiducia a quel premierato che, come si dice, è il suo chiodo fisso. Ma anche e soprattutto a una composizione più forte, e degna di nome, dei poteri del presidente del Consiglio, che non sono affatto una minaccia, come scrivono gli irriducibili, ma una chiara delimitazione di aree di influenza e di decisioni di un Governo che spesso si trova in mare aperto, come se avesse perso la rotta.

Una legge di scambio? Artificiosamente e provocatoriamente qualcuno l’ha sussurrato. Invece, si tratta di un “fatto” squisitamente politico perché, tra l’altro, completa il quadro dell’Autonomia (quando ci sarà) con un vero e proprio assetto decisionale effettivo del Governo. Intendiamoci, non ci siamo ancora arrivati. Ma già con questo ddl approvato in un giorno definito storico da qualcuno, si possono ben capire le aree di intervento. A cominciare dalla decisione che le Regioni possono chiedere, come la gestione autonoma di ben 23 materie concorrenti, dall’istruzione agli stessi rapporti internazionali fino all’ambiente e al coordinamento del sistema tributario (le tasse!).

Ovviamente i pareri sono molti, tot capita tot sententiae. E c’è semmai da registrare, oltre la ovvia accusa di dividere (sfasciare) l’Italia, una dichiarazione, ovvero una presa d’atto per dir così rassegnata del Partito democratico, a suo modo riassuntiva ma neppure del tutto polemica. Come se la decisione del Senato non fosse una novità, anzi. “È il frutto di un patto elettorale, dove la Lega alza la bandiera della Autonomia, Fratelli d’Italia il premierato e Forza Italia la separazione delle carriere fra giudici e pm”. È proprio così. Con un Pd che non sa cosa fare. Ed è costretto a prendere atto delle riforme altrui.

Aggiornato il 25 gennaio 2024 alle ore 09:09