Una genesi di fusionismo

Perché quando scriviamo la parola “liberal-conservatorismo” il trattino è di troppo

È una questione grammaticale, diciamo pure etimologica, ma anche di natura identitaria e concettuale. Voglio dire: il termine conservatore trova le proprie origini direttamente dall’idioma indoeuropeo e sta a significare, secondo una dotta ricostruzione portata avanti da Gennaro Sangiuliano, coloro che nelle tribù nomadi erano di guardia al fuoco, mantenuto acceso per tenere a distanza gli animali selvatici. Ora, a livello metaforico il fuoco rappresenta i valori.

Ergo, un conservatore è un custode di valori. Prima fra tutti è la libertà, quella che Don Chisciotte ricordava essere a Sancho Panza “uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita”.

Già, la vita: diritto naturale alla pari della libertà individuale e della proprietà privata come insegnano il patriottismo costituzionale statunitense e ancor prima il giusnaturalismo, che Benedetto XVI vide come tentativo della “Ratio” di entrare in comunione con la “Fides”.

Ma conservatorismo e liberalismo presentano un altro elemento in comune: entrambe queste dottrine culturali e politiche praticano un concetto molto caro a Roger Scruton, ovverosia il “buon senso” o, per dirla in altri termini, il senso del limite. Da un lato, infatti, il pensiero liberale è uno strumento di difesa che l’individuo adopera per tutelarsi dai rischi esiziali del potere centrale. Il liberalismo pone degli argini, delinea un perimetro entro il quale – avrebbe sostenuto Antonio Rosmini – il singolo esercita la propria discrezionalità.

Altresì, il conservatorismo è una sorta di monito necessario per ribadire che l’essere umano vive di imperfezioni e di fallimenti – è una canna pensante, per dirla come Pascal, impastata di fragilità e di vocazione all’eterno – e, per l’appunto, il suo tratto essenziale è demarcato dal divino o, come asserisce Immanuel Kant nella Critica della ragion pratica, dalla legge morale e dal cielo stellato. Ebbene, dalla consapevolezza della propria relatività, che si antepone al delirio dell’assoluto, nasce di fatto la bioetica, cioè quella disciplina morale stante a ricordare che non tutto ciò che è scientificamente fattibile è anche eticamente lecito”.

Concludo facendo mie le parole di Marco Respinti sulla necessaria convergenza tra i liberali e i conservatori, cioè tra i pro market e i pro life. E quindi tra la libertà, alla quale serve l’ordine per non impazzire, e l’ordine, il quale necessita della libertà per non soffocare.

Aggiornato il 21 gennaio 2023 alle ore 10:01