Nella parabola di Salvini è comparso Bossi

All’inizio c’erano il Nord, la Padania e Umberto Bossi che si sgolava nell’urlo antipartitico, collocando la sua Lega al di fuori del perimetro tradizionale. Anche se poi la sirena di Arcore ha sedotto i barbari, conducendoli fino a Palazzo Chigi e dintorni. Poi ci fu il Papeete e, per non annoiare il lettore, toccò il turno a Giorgia Meloni. Così, sintetizzando al massimo quella che per molti è una super-questione politica, ovvero la parabola discendente di Salvini, non vi sono dubbi che l’impressionante crescita di Meloni sia l’elemento centrale e moltiplicatore per un calo di consensi che, ironia della sorte, è simmetricamente parificabile alla parabola ascendente.

Fu tuttavia il Papeete a far cadere definitivamente i veli all’operato privato di un Capitano che, se era stato fino a quel punto più cauto nelle dimostrazioni di mostrarsi sfrenato (l’ossessione mediatica ha fatto di lui un esempio da studiare), aveva poi ragionato che, in termini di visibilità, persino il Papeete poteva starci. Dimenticando, tuttavia, una delle regole di fondo che non consente salti all’indietro o il ricorso a felpe e a selfie, soprattutto a chi è uscito vincitore dalla campagna elettorale.

Capita. Capita in special modo a chi, più o meno caratterialmente, non ha molta considerazione non solo o non tanto per il nemico esterno, quanto per qualche ex amico sempre più dimenticato dentro il partito. Tanto più grave è questa dimenticanza se l’amico è colui che ha fondato la Lega e, con questa, ha inventato lo stesso Matteo Salvini.

Finché… Finché il dimenticato si sveglia (detto metaforicamente, perché Bossi non c’è mai sembrato un dormiente), si guarda intorno e vede non dico le rovine della sua “invenzione-fondazione”, ma piuttosto un panorama in cui il rischio della desolazione di voti trova cause vicine e lontane, tutte o quasi ascrivibili a quel salvinismo che per l’Umberto, il quale nel frattempo ha fondato il “Comitato del Nord”, è riassumibile in un Salvini che “è un bambino, non si comporta come uomo e io sono abituato a parlare con gli uomini”.

Calmo ma spietato. Il Senatùr ha detto semplicemente che questo Salvini non è all’altezza degli impegni. Ma, soprattutto, non è in grado di ricoprire il ruolo che fu già suo di fondatore, mettendo così in chiara evidenza che lo strappo interno non è cosa da poco, relegabile – come ha fatto finora Salvini – in un ripostiglio, nell’angolo delle semplici scocciature liquidabili con uno sbadiglio. Semmai, ciò che deve avere irritato Bossi è proprio questa sostanziale indifferenza in nome di un presuntuoso maiora premunt che sembra la linea di marcia di una Lega salviniana sempre più in calo.

Il fatto è che fra ripicche, frecciate e dispetti, né Salvini ma neppure il Senatùr si sono sbilanciati (almeno finora) su una simile avventura. Ma i fatti, quelli veri, quelli che hanno la testa dura (e politica), come i tre o quattro consiglieri regionali passati con Bossi, hanno irritato e non poco il presidente della Lombardia, Attilio Fontana, che è abituato a contare i voti della sua maggioranza. Anche con uno sguardo pensoso a una Letizia Moratti che, a detta di qualcuno, ha uno sguardo proprio verso quei tre-quattro consiglieri.

Aggiornato il 23 dicembre 2022 alle ore 09:25