I nodi vengono al pettine

L’assenza totale di azione politica da parte del Governo, che si è concretizzata a partire dalla rielezione del Presidente della Repubblica, sta manifestando i suoi effetti negativi. La diciottesima legislatura lascerà in eredità al prossimo Esecutivo un debito pubblico rispetto al Pil di oltre il 150 per cento. Le politiche di provvidenze pubbliche, solo in parte giustificate dalla pandemia da Covid-19, hanno fatto crescere, sia in termini nominali che rispetto al reddito nazionale lordo, il debito pubblico.

L’incremento esponenziale dell’inflazione, a partire dagli Stati Uniti, ha obbligato le banche centrali a rivedere le rispettive politiche monetarie accomodanti. La Federal Reserve americana ha iniziato ad alzare i tassi d’interesse, nel tentativo di contenere l’inflazione. Le politiche monetarie restrittive (aumento dei tassi d’interesse) incrementano la propensione al risparmio delle famiglie e riducono le prospettive di investimenti delle imprese. A meno liquidità in circolazione corrisponde un contenimento della crescita dei prezzi per minori consumi. La stessa Banca centrale europea si sta ormai preparando ad abbandonare la politica monetaria di bassi tassi d’interesse. È ormai nelle cose che presto aumenteranno i tassi di riferimento della Bce. La crescita del costo del denaro aumenta, in maniera significativa, il costo del servizio del debito pubblico. L’incremento di un punto percentuale del tasso d’interesse provocherebbe una spesa per interessi per diversi miliardi di euro l’anno.

I governi Conte 1 e Conte 2, per assicurarsi il consenso, hanno concesso provvidenze pubbliche che non si potevano permettere. L’acquisto massiccio di debito sovrano da parte della Bce (con governatore Mario Draghi) – il cosiddetto quantitative easing – aveva esattamente l’obiettivo contrario, ovvero quello di iniettare liquidità nel sistema economico per evitare la deflazione. Mi sarei aspettato da un Governo presieduto da un super-tecnico come Draghi più lungimiranza. Forse era distratto dall’ambizione svanita di passare direttamente da Palazzo Chigi al Quirinale. Ha cercato di porre rimedio tardivamente alla situazione, opponendosi a ulteriori scostamenti di bilancio a debito. Di fatto, la sua presidenza del Consiglio non ha apportato alcun valore aggiunto all’esigenza di contenimento della spesa pubblica improduttiva. Anzi, continua la politica dei bonus una tantum.

Nella primavera del 2023 si terranno le elezioni politiche generali. È facilmente prevedibile l’assalto alla diligenza da parte dei partiti della larga coalizione di Governo, che si verificherà quando si dovrà approvare la legge di Stabilità in vista della competizione elettorale. I mercati finanziari hanno annusato il sangue. Ci aspettano mesi di forti turbolenze sullo spread dei nostri titoli. Eventuali elezioni politiche anticipate permetterebbero a un nuovo Governo, legittimato da un voto popolare, di attivare senza indugio una politica volta a contenere la spesa pubblica, per tagliare le gambe alla speculazione sui mercati finanziari. Purtroppo, i nodi vengono al pettine!

Aggiornato il 10 giugno 2022 alle ore 09:48