L’Occidente non vuole la guerra, ma potrebbe comunque averla

Prosegue il conflitto in Ucraina. Falliscono tutti i tentativi di mediazione, incluso quello per il cessate il fuoco per dare il tempo ai civili di evacuare, dato che i soldati russi e le milizie separatiste loro alleate hanno – con una crudeltà a dir poco disumana – violato l’impegno preso e hanno aperto il fuoco su coloro che cercavano di lasciare le città ucraine assediate per dirigersi verso Ovest, perlopiù donne, bambini, anziani e malati: un indicibile atto di vigliaccheria. Gli unici corridoi umanitari che il Cremlino è disposto a concedere sono quelli verso la Russia e la Bielorussia, che oltretutto sono stati minati, come riferisce la Croce Rossa: prese in giro e atti di vile crudeltà, ecco quello che ci si può aspettare dalla Russia.

Nel frattempo, le forze russe hanno accerchiato le principali città ucraine, arrivando a conquistarne alcune, come Kherson. Continuano i bombardamenti, anche su obiettivi civili e nei giorni scorsi si è sfiorato l’incidente nucleare dopo gli scontri nella centrale di Zaporizhzhia. Se quanto sta avvenendo non fosse tragico, farebbe ridere l’atteggiamento adottato dal Governo russo: quello di negare ogni responsabilità, attribuendo agli ucraini – ancora definiti “nazisti” da Vladimir Putin – la colpa delle sparatorie sui civili, come dello sfiorato incidente nucleare, del fallimento dei corridoi umanitari e dei bombardamenti su condomini, ospedali e scuole.

A dispetto di coloro che continuano – ingenuamente – a credere che sia possibile addivenire a una soluzione diplomatica, il Cremlino continua a porsi in maniera aggressiva, nei riguardi dell’Ucraina come dell’Occidente. Nei giorni scorsi, Vladimir Putin ha sottolineato come l’offensiva non cesserà, a meno che l’Ucraina non accetti le condizioni poste da Mosca (smilitarizzazione e neutralità del Paese; cessione della Crimea e del Donbass e “denazificazione”, che nella lingua di Putin vuol dire neutralizzazione di ogni forza politica, di ogni governante e di ogni attivista favorevole a una Ucraina indipendente e libera dall’influenza russa) e che, al contrario, tali condizioni per la pace saranno sempre più pesanti man mano che il conflitto proseguirà. Falliti tutti i tentativi di mediazione da parte di leader di altri Paesi, anzitutto da parte del presidente francese, Emmanuel Macron.

Il dittatore russo continua a minacciare, neanche troppo velatamente, l’Occidente, agitando lo spauracchio di una nuova guerra mondiale, di risposte da parte della Russia e di uso delle armi nucleari e sostenendo che gli obiettivi del Cremlino – vale a dire l’assoggettamento dell’Ucraina – saranno raggiunti, col negoziato o con la forza militare. Per contro, si susseguono ininterrotte le richieste di aiuto da parte del presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, all’Unione europea e agli Stati Uniti. Particolarmente, il leader ucraino chiede l’istituzione di una “no-fly zone” e, se non l’invio di truppe da parte della Nato, almeno la fornitura di una maggior quantità di armi letali e, soprattutto, di aerei da combattimento, di cui l’Ucraina era già carente e quei pochi che aveva sono stati distrutti dai russi. Ha parlato sia al Congresso che al Parlamento europeo: in entrambi i casi Zelensky ha chiesto aiuto per dare al suo Paese la speranza di sopravvivere, perché se cade l’Ucraina cadrà tutta l’Europa e perché, in questo caso, l’Occidente si sarà reso complice della distruzione di una nazione, che pure ha confidato nella protezione e nell’appoggio di questa parte di mondo.

Qual è la risposta occidentale all’aggressività e alle minacce russe, così come alle disperate richieste di soccorso da parte ucraina? Sanzioni che è inverosimile facciano cambiare idea a Mosca; speranza di trovare una soluzione diplomatica al conflitto; tante parole di solidarietà e rifiuto di fare più di quanto si sia già fatto. Gli Stati Uniti e l’Europa hanno ribadito più volte in questi giorni che l’istituzione di una “no-fly zone” non è una via percorribile, perché vorrebbe dire, effettivamente, l’entrata in guerra contro la Russia da parte dell’Occidente. Di inviare truppe in Ucraina non se ne parla nemmeno: ma per sicurezza, data l’imprevedibilità di Vladimir Putin, stiamo comunque ammassando uomini e mezzi in Polonia, nelle Repubbliche baltiche e in Romania. Per quanto riguarda l’invio di aerei da combattimento, se in un primo momento gli Stati Uniti, per bocca del Segretario di Stato, Antony Blinken, si erano detti disponibili a inviare dei jet in Ucraina attraverso la Polonia, ora è proprio quest’ultima che fa un passo indietro, definendo “pericolosa” una simile scelta.

Davanti a tanta inerzia e mancanza di strategia, sono legittime le domande che si pone Zelensky su dove sia l’Occidente mentre l’Ucraina viene progressivamente occupata e distrutta e gli ucraini uccisi; sul perché non si voglia mettercela tutta per difendere un Paese che è davvero la porta dell’Europa dal punto di vista geografico, che ha una cruciale importanza dal punto di vista strategico e anche un profondo significato simbolico. Quella che si sta combattendo non è solo una guerra tra Russia e Ucraina o tra un tiranno invasore e un popolo che vuole essere libero: ma tra una nazione che vuole essere occidentale e una che ha costruito la sua identità in antitesi all’Occidente e che non tollera che Paesi, illegittimamente considerati suoi “satelliti”, adottino tale visione del mondo; tra lo spirito liberale e quello autocratico. L’Ucraina ha un valore simbolico perché in questo momento incarna l’aspirazione alla libertà che la cultura della violenza, della sopraffazione e della coercizione, impersonata dalla Russia putiniana, cerca costantemente di soffocare e reprimere. Perdere l’Ucraina vorrebbe dire non solo arrendersi alla prepotenza di Putin: sarebbe una drammatica sconfitta per il mondo libero che, di fatto, sancirebbe ufficialmente la debolezza dell’Occidente e della sua cultura. Se l’Ucraina cadesse, si darebbe ragione a Putin e agli autocrati, che considerano la democrazia una forma di Governo decadente e quella occidentale una civiltà debole che sta affogando nel suo individualismo, rammollita dalla “troppa libertà”. Perdere l’Ucraina dimostrerebbe che le democrazie liberali sono oggettivamente meno forti delle autocrazie; che sono incapaci di difendersi e di fare fronte comune quando serve: il che rafforzerebbe le autocrazie stesse e instillerebbe nelle democrazie consolidate il desiderio di “cambiare rotta”, di “passare dall’altra parte della barricata”, di “fare come in Russia” o “come in Cina”.

Cosa spera di ottenere l’Occidente col suo comportamento così cauto da rasentare il codardo? Forse di trasformare l’Ucraina in una specie di Vietnam o di Afghanistan, dove i russi finiranno per restare impantanati e gli ucraini continueranno a resistere grazie agli aiuti occidentali, nella speranza che le sanzioni pieghino a tal punto l’economia russa da sfinirne la popolazione e da istigarla alla ribellione di massa contro Putin? Oppure di prolungare il conflitto – a spese degli ucraini, naturalmente – confidando di mettere in difficoltà il leader del Cremlino e di costringerlo a trattare da una posizione meno vantaggiosa, dalla quale potrà avanzare meno pretese? Pure illusioni.

Le sanzioni – per quanto oggettivamente dure e capaci di provare l’economia russa, magari anche di farla fallire e di mandarla sul lastrico – di rado hanno indotto un Paese aggressore a ritirarsi o a ripensare le sue scelte di politica estera: anzi, potrebbero paradossalmente spingerlo alla guerra, se si tratta di una grande potenza militare che già soffre di “sindrome da accerchiamento” e che è guidata da un leader paranoico e fondamentalmente psicopatico. In secondo luogo, quand’anche le sanzioni comminate dall’Occidente mettessero in ginocchio l’economia russa – come sembra stiano già facendo – bisogna sempre ricordare che questo non interesserebbe minimamente a Putin, che ha già dimostrato di non avere in nessuna considerazione l’opinione del suo stesso popolo (più di sedicimila arresti di manifestanti contro la guerra dovrebbero essere una dimostrazione sufficiente di tale noncuranza) e che comunque, grazie al complesso sistema di censura e di propaganda elaborato dal suo regime, riuscirebbe comunque a spacciare le sanzioni come l’ennesimo atto di ostilità gratuita e immotivata da parte dell’Occidente e la crisi da esse indotta come il sacrifico cui il popolo russo è chiamato per difendere i suoi diritti. E tale narrazione attecchirebbe sicuramente in un Paese dove non c’è pluralismo d’informazione e di opinione, dove il presidente sa bene come accattivarsi le simpatie della Russia profonda e retriva, che rimpiange il suo “grandeur” perduto e che vede nell’Occidente una minaccia alla sua integrità politica e morale.

Se, invece, l’idea è quella di sfinire le truppe russe alimentando la resistenza ucraina, per obbligare Putin a trattare da una posizione di debolezza, si tratta di una strategia troppo pericolosa: primo, perché non è detto che la resistenza ucraina riesca a respingere i russi per un tempo abbastanza lungo, anche con le armi occidentali; secondo, perché non è detto che Putin non decida di usare la mano pesante per mettere fine alla storia una volta per sempre, un po’ come ha fatto in Cecenia; terzo, perché non è detto che l’impantanamento della Russia spinga il leader del Cremlino verso più miti consigli. Stiamo parlando di un folle, di una persona chiaramente alienata, che vive in un mondo tutto suo, pur essendo lucido nella sua follia. Di conseguenza, non possiamo aspettarci che sia quella realtà che egli disconosce a farlo ragionare.

Adolf Hitler pensava ancora di poter vincere la guerra con gli Alleati dentro Berlino: è verosimile che Putin farebbe la stessa cosa. A questo proposito, il dittatore russo è stato chiaro: non è disposto ad accettare negoziati che non postulino l’integrale accettazione delle condizioni poste dalla Russia. Ciononostante, alcuni dicono che dialogare sia l’unico modo di uscirne: a cosa dovrebbe servire questo dialogo, di grazia, se non a rendere le cose più facili alla Russia e a servirle l’Ucraina su un vassoio d’argento, senza farle prendere neppure l’incomodo di combattere e di perdere qualche soldato? E quand’anche si riuscisse a mettere Mosca nelle condizioni di essere più malleabile e di negoziare, qualcosa le si dovrebbe pur concedere: ma per quale ragione si dovrebbe dare un contentino all’aggressore a spese dell’aggredito, cioè dell’Ucraina? Per quale ragione si dovrebbe impedire a Kiev di entrare in Europa o nella Nato o permettere alla Russia di annettere la Crimea o il Donbass? È assurdo.

Forse si vuole davvero evitare la Terza guerra mondiale, perché giustamente si comprende che questo sarebbe un evento catastrofico. Se ciò, da un lato, è legittimo e comprensibile, dall’altro potrebbe essere solo un tentativo di rimandare l’inevitabile. Se anche l’Occidente lasciasse gli ucraini a farsi massacrare senza fare niente (che non sia sanzionare la Russia) e inviare armi alla resistenza pur di non rischiare la guerra, potrebbe essere la Russia a fare il primo passo in questo senso, allargando sempre di più il conflitto. Putin è stato fin troppo chiaro nel dichiarare i suoi intenti: restaurare di fatto l’Unione Sovietica, indebolire progressivamente l’Occidente ridimensionandone l’influenza globale e stabilire un nuovo assetto internazionale. Ciò vuol dire non soltanto ridisegnare i confini russi, attraverso l’annessione della Bielorussia e dell’Ucraina (la smilitarizzazione e l’annientamento di ogni anelito nazionalista e indipendentista è solo il primo passo in questo senso), ma anche estendere progressivamente la sua sfera d’influenza a tutto l’Est Europa e ai Balcani e lavorare anche nell’Ovest – come faceva l’Urss nei tempi che furono – per l’instaurazione di regimi favorevoli a Mosca: allora comunisti, oggi illiberali e autocratici. Che faremo? Ce ne staremo inerti a guardare la Russia che guadagna terreno pur di conservare una pace che sarebbe solo di facciata e che, comunque, avrebbe un prezzo troppo alto? Oppure ci decideremo a mettere mano alle armi per respingere l’avanzata russa?

Che ci piaccia o no, la guerra potrebbe comunque arrivare e dovremmo combatterla, se non vogliamo veder sparire la nostra civiltà: l’unica cosa che possiamo scegliere è quando farlo e a quali condizioni, vale a dire se farlo ora, in una posizione di forza e conservando un minimo d’onore e di dignità per non aver abbandonato il popolo ucraino e tutti quelli che verranno dopo al loro destino; o se farlo in futuro, in una posizione di debolezza rispetto alla Russia, nell’incertezza della vittoria e col morale fiaccato dall’aver già perso la faccia davanti alle autocrazie, che ci combatteranno forti della convinzione di essersi dimostrate migliori di noi e di poter vincere a mani basse contro un Occidente debole e decadente.

La storia del secolo scorso ci insegna che la guerra non può essere sempre evitata; che, talvolta, il prezzo da pagare per una pace precaria e relativa è troppo alto: la libertà; la propria integrità; i propri diritti; la distruzione del proprio mondo e di tutto quello che si è faticosamente costruito. Ci sono casi in cui si deve fare qualcosa, in cui si deve reagire con decisione e con forza. Questo è uno di quei casi: non è il momento di temporeggiare, di tirarla per le lunghe, di cercare improbabili soluzioni di compromesso o di mostrarsi indecisi o impauriti dinanzi a un nemico la cui forza è proprio la nostra paura, la nostra ritrosia e i nostri scrupoli. I russi hanno molta più paura di noi: ma a differenza nostra sanno nasconderla bene e sono capaci di dissimularla dietro le minacce. Diamo dunque all’Ucraina quello che merita e di cui ha bisogno veramente: protezione, assistenza militare e politica. E in questo frangente – e in tutti quelli simili che verranno – teniamo sempre a mente la storica frase di Winston Churchill dopo la Conferenza di Monaco del 1938: “Potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avrete la guerra”.

Aggiornato il 09 marzo 2022 alle ore 09:19