Afghanistan: non è tutta colpa dell’America

È certamente vero che c’è un rifiuto della civiltà occidentale alla base di contrapposti dinieghi delle nuove realtà, compreso l’Islam politico e il jihadismo. E non meno vero è che una certa intellettualità di sinistra, un determinato gauchismo di pensiero hanno fatto da balia alla crescita (se non alla vittoria) di una simile cripto-filosofia autolesionista. Ma non bisogna lasciare in penombra altri e non meno significativi fattori se vogliamo (dobbiamo) evitare analisi e conseguenze peggiorative.

La vicenda afghana è per molti aspetti illuminante anche nella fuga di un Joe Biden che aveva alle spalle il doppio lasciapassare di Barack Obama e di Donald Trump, soprattutto di quest’ultimo a Doha. Biden colpevole delle modalità, di tempi, della fretta, della confusione testimoniati, per omnia saecula saeculorum, dall’immagine di bambini e genitori aggrappati all’aereo per fuggire dall’inferno di Kabul. Anche su questa tipologia di allontanamento, previsto e annunciato ma comunque indegno – non di una grande potenza ma di qualsiasi potenza – vale qualche riflessione, giacché era ed è noto che la Casa Bianca (e non solo) era stata informata dagli allarmi dei servizi segreti sui pericoli dei Talebani, eccitati appunto dagli accordi di Doha e dall’imminente distacco Usa.

Con questo bagaglio di notizie il presidente degli Stati Uniti doveva procedere non soltanto cum grano salis (disturbiamo una volta ancora il latinorum) ma con mano ferma e con una organizzazione capace per il cui esito ben diverso il tempo non sarebbe mancato, anche per non lasciare indietro alleati e amici, ora minacciati dalle sanguinose rese dei conti talebane. Parliamo di amici afghani degli Usa. La permanenza americana è stata di venti anni, non di una settimana ma ciò che stupisce e colpisce ma che vale la pena di ripetere è che in circa 4300 giorni nulla o quasi è stato costruito di autonomo, forte e stabile in previsione di un distacco americano, inevitabilmente e storicamente prossimo. C’erano, in loco, un Governo, dei ministri, delle strutture che dovevano non solo amministrare coi dollari americani ma guardare oltre, in avanti, non soltanto ai sorrisi e alle risorse di Washington, la cui colpa immaginiamo è stata anche questa: di non abituare un Governo e il suo popolo non tanto o non solo alla democrazia ma, almeno, a una coscienza e una consapevolezza “nazionali” prioritarie alla democrazia stessa.

In nessun Paese del mondo, storicamente, si è assistito in due settimane a un crollo rovinoso, totale, devastante rispetto a una “occupazione” che durava da venti anni e della quale se ne rimpiange ora il venir meno. Ma senza apparenti dimostrazioni, forse per la paura di avere coraggio nel qual caso va pur detto e ripetuto che non è solo colpa degli Usa, che se ne sono andati, come promesso.

Aggiornato il 10 settembre 2021 alle ore 12:56