Il Governo che non cade

Non cadrà.

Il Governo, intendo.

Non cadrà perché, escluse le urne, non c’è una sola alternativa praticabile in concreto; perché, in tempi di emergenza, non si cambia il manovratore, neanche quando, almeno in parte, ne è il responsabile; perché il Capo dello Stato non vuole che cada e così pure una frazione dell’opposizione; perché all’opposizione residua non conviene, ovvero, meglio, conviene che i due partiti al governo si intestino il fallimento del Paese e la crisi sociale che ne deriverà.

Non cadrà, comunque, perché nessuno sa che cosa fare. Forse, perché non c’è più nulla da fare, a questo punto.

Nel frattempo, oltre a quella sanitaria ed economica, si è consumata la più grande tragedia del dopoguerra: la Nazione si è disgregata a colpi di Dpcm, di limitazioni alle libertà succedutesi a ritmi infernali alternate ad un lassismo inaccettabile; si è disunita causa la segmentazione di interventi disomogenei in un quadro di atavica inefficienza e consolidata incompetenza; si è dissolta sulla scia dei bonus monopattino, inseguiti dal cashback di Natale, collocati su inesistenti banchi a rotelle.

Mentre il nostro Presidente del Consiglio si attribuisce meriti di portata storica, fingendo di ignorare che sarà proprio la Storia a rendergli la giustizia che merita, Angela Merkel versa lacrime sincere davanti al Bundestag e si interroga sulle colpe che ci stiamo assumendo davanti allo stesso tribunale.

Non c’è partita: abbiamo perso. Disperderemo in rivoli secchi i soldi che siamo obbligati a restituire, impiccandoci a riforme che, quando faceva comodo, erano respinte con sdegno e furore di piazza.

Persone incapaci di coniugare correttamente i verbi accusano di ignoranza il Premier inglese, che sa di latino come se fosse nato ad Ostia nel 45 avanti Cristo.

Non cadrà. Perché non è un Governo, ma un circolo dopolavoristico (per disoccupati, però), i cui membri si scambiano complimenti, mentre fuori c’è il diluvio.

Aggiornato il 11 dicembre 2020 alle ore 09:36