Se ne sono andati da Forza Italia tre parlamentari, seguendo le orme di altri che avevano abbandonato il partito di Silvio Berlusconi, ma il caso dei tre assume il contorno e la definizione di un tradimento perché compiuto all’interno di una alleanza nella quale il beneficiato Matteo Salvini non solo non ne ha ostacolato l’operazione ma, secondo i più, l’ha agevolata. Peraltro, la stessa Lega ha subìto qua e là abbandoni analoghi, sia pure a livello locale, per non parlare delle defezioni parlamentari nel M5S (una cinquantina circa) una vera e propria fuga tanto che si è parlato di imminenti scissioni. È il trasformismo all’opera. Il fenomeno del trasformismo (nell’Italia liberale già allora era considerato un tratto distintivo negativo della politica italiana) ha radici lontane ma sempre vive e vivaci, in una Paese nel quale anche partiti e governi si sono nutriti dei suoi succhi cambiando direzione politica e, in un certo senso, la storia. Parliamo, in questo caso, delle classiche scissioni ideologiche che hanno segnato la storia del Paese. Va pur detto che, nella necessaria distinzione dei trasformismi storici, quello del cambio di formazione politica è destabilizzante perché l’elettore lo vive come un tradimento. È il trasformismo individualistico appropriatamente bollato come cambio di casacca, molto diffuso di questi tempi caratterizzati dalla crisi delle culture politiche e delle identificazioni in un contesto che ha visto crescere negli anni la pianta dell’antipolitica, della guerra alla Casta, i cui frutti hanno dato vita al movimento-partito del M5S, spargendo altri bacilli che hanno contagiato lo stesso corpo sociale del Paese, già ampiamente contaminato dall’indifferenza se non dal disprezzo per la politica tout court.

Come dare del resto torto al cittadino che assiste a quei continui cambi di casacca che hanno la loro vera giustificazione nell’accaparrarsi una poltrona, una riconferma, un posto in lista, una sinecura, e che dunque rappresentano un tradimento del proprio voto. Nella fuga dei tre da Forza Italia l’ombra del tradimento si è incupita non soltanto per il voto di Salvini contro le garanzie per un nuovo assalto di Vivendi a Mediaset, ma nel suo immediato plauso ai pm di Catanzaro che hanno arrestato una figura politica di spicco calabrese espressione del centrodestra e autorevole rappresentante di Forza Italia, dando la sensazione di gioire per il suo arresto. È il giustizialismo all’opera. Occorrerebbe un lungo discorso a proposito del sovranismo salviniano erede e superamento del bossismo di “prima il Nord!”, ma entrambe le “ideologie” non sono affatto esenti dall’originario giustizialismo, lo stesso, se non peggio, praticato e sbandierato dai pentastellati. Il fatto è che il giustizialismo è sempre vivo e operante in Italia, perché, come per il trasformismo, la profonda crisi delle culture politiche e delle identità ha svuotato la politica, fino a rendendola supina al vero potere da anni rappresentato dalla magistratura, in modo particolare dalla figura del pm, con le drammatiche distorsioni per cui basta un avviso di garanzia per bollare il malcapitato come colpevole, ignorando quel principio di innocenza che sta alla base della Giustizia, con la “G” maiuscola. Figuriamoci un arresto con la immancabile retata! Il marchio a fuoco è subito stampato, dimenticando volutamente gli sviluppi fino al processo nel quale è capitato. E capita che vinca l’innocenza, ma a babbo morto. Del resto, la vicenda dell’ex sindaco di Napoli, Antonio Bassolino, parla da sola se è vero come è vero che ci sono voluti diciannove anni per proclamarne l’innocenza. E non ci dilunghiamo sull’argomento, sicuri che la mala pianta del giustizialismo darà altri frutti. Con quella del trasformismo. Benché questi non si trattino più – detto al plurale per la quantità e il succedersi del fenomeno – di cambiamenti ideologici.

Aggiornato il 23 novembre 2020 alle ore 09:33