Le riforme non serie del Csm

In ossequio al principio della divisione dei poteri, in quanto genuini democratici, alcuni magistrati italiani vogliono dettare essi stessi le regole che poi dovranno applicare in merito all’elezione al Consiglio superiore della magistratura ed alla/e procedure in esso previste per l’assegnazione dei posti direttivi.

Non c’è che dire! Una bella e sana lezione di Diritto costituzionale, che tuttavia io, per evidenti ragioni, eviterei di portare all’attenzione degli studenti del primo anno di giurisprudenza, che potrebbero risultarne deviati nel loro corso di studi.

E comunque, sorvolando su questi dettagli marginali, le riforme da loro suggerite non fanno che ripetere, sotto altra forma, vecchie proposte relative al sistema elettorale del Csm e che risultano del tutto ridicole.

Singolo turno elettorale, doppio turno, triplo turno, con o senza modifiche, collegio unico nazionale, collegi territoriali, divieto delle cosiddette “porte girevoli” fra politica e magistratura, sono tutti specchietti per le allodole, sesquipedali sciocchezze che vorrebbero dire tutto, ma in realtà non dicono nulla, utili solo a riempirsi la bocca di futilità.

Si tratta di atteggiamenti gattopardeschi buoni soltanto a far credere che tutto cambi ma al solo scopo che tutto rimanga com’è, cioè come tutti vediamo che sia leggendo i giornali di ogni giorno.

Perché gattopardeschi?

Perché sarebbero appunto tutte riforme inutili, in quanto, dando mostra di farlo, non toccherebbero il cuore del problema. E, a costo di ripetermi, insisto: la sola riforma possibile e seria sarebbe l’abolizione assoluta delle correnti, con il corollario della separazione delle carriere. Infatti, il germe nefando della contesa politica nasce e prolifica proprio dalle e nelle aggregazioni correntizie, ben dentro la magistratura e non fuori di essa.

Non si tratta di allontanare i magistrati dai politici di professione, perché oggi i partiti non hanno la forza di attrazione della Prima Repubblica – quando, per esempio, frequentemente i magistrati in pensione confluivano nei banchi del Partito comunista – ma di svuotare dall’interno il potenziale e mefitico potere della aggregazione correntizia, capace di generare frutti perversi, sciogliendola.

D’altra parte, siamo in presenza di un normalissimo effetto di ogni compagine associativa umana, ove è naturale nascano contro-aggregazioni, gemmazioni, confronti e contese, al pari di quanto accadeva – dando per scontate le ovvie differenze storiche – fra patrizi e plebei, fra guelfi e ghibellini, fra neri e bianchi, fra sindacati e Confindustria e via dicendo.

Perché meravigliarsi? Basta intendere come invece simili contrapposizioni siano impensabili in relazione a coloro che son chiamati ad esercitare l’altissimo compito di giudicare i comportamenti dei propri simili: in questo caso, quelle dinamiche, ovvie e normali in altri ambiti, non possono e non debbono essere ammesse.

E ciò perché – come insegnano maestri del pensiero come Sergio Cotta o Augusto Del Noce – mentre la dinamica della politica è “includente (i sodali ) – escludente (gli avversari)”, quella del diritto è invece “universale-diffusiva”: nel mondo giuridico, per definizione, non possono esserci nemici.

Ecco perché la sola esistenza in vita delle correnti, qualsivoglia esse siano, basta a deturpare il volto dell’attività giurisdizionale, deformandolo in modo irrimediabile, come la cronache dei nostri giorni abbondantemente dimostrano: perché esse introducono, al di là della volizione dei singoli, il germe della competizione politica, cioè derivante dalla aggregazione di appartenenza e della correlata esclusione, in un ambito ove dovrebbe contare soltanto l’universale giuridico.

In proposito, guardo con divertimento alla ulteriore proposta di elevare l’età necessaria per concorrere ai posti direttivi e di far seguire a costoro un corso specifico dopo il conseguimento dell’incarico. Queste proposte sono la prova di come a volte non si capisca nulla del ruolo del giudice e della sua nobilissima specificità.

Il giudice dovrebbe infatti fuggire da ogni forma di corso, di accademia, di scuola che non abbiano carattere strettamente teorico-scientifico (come sono infatti quelle di cui si parla), per il semplice motivo che, per loro natura, queste forme di esperienza recano con sé, al di là del volere dei singoli, una sorta di omogeneizzazione del pensiero, un sotterraneo invito al conformismo, che sarebbe pericolosamente dettato dalla lottizzazione correntizia di corsi, di accademie, di scuole.

Vi immaginate queste benemerite istituzioni come sottratte alla spartizione politica delle correnti? Queste farebbero a gara per spartirsi anche le nuove fette di potere, in modo rigorosamente proporzionale alla rispettiva valenza elettorale.

Insomma, le riforme proposte non sono una cosa seria, come non sarebbe serio curare con un massaggio al torace chi, malato di polmonite, avrebbe bisogno dell’antibiotico. Infatti, se i corsi di studio e preparazione per gli uditori giudiziari, freschi vincitori di concorso, sono sempre rigorosamente lottizzati fra le correnti, perché mai quelli, successivi alla nomina al posto direttivo, non dovrebbero esserlo?

A tacere infine che il giudice dovrebbe essere sempre solo con la propria coscienza, severo custode della sua unicità quale delicato organo di sensibilità verso il mondo, il solo che gli consenta e lo autorizzi a dire timorosamente il diritto, ripartendo i torti dalle ragioni.

Ma forse, per tutti questi signori che affollano le pagine dei giornali, avvezzi a fare i magistrati come le correnti insegnano e mostrano, nell’ottica spartitoria del potere, stiamo parlando una incomprensibile lingua straniera: stiamo parlando turco.

Aggiornato il 29 maggio 2020 alle ore 10:17