Sanzioni stonate: il caso Tarfusser

Se l’Italia ponesse al centro la persona umana e le sue legittime spettanze, sarebbe offerta al giudice Cuno Tarfusser la possibilità di restare in magistratura oltre l’età pensionabile. Chiedendo venia per questa escogitazione formalmente improponibile, mi pare chiaro il pensiero che la supporta: e cioè che giudici di tal fatta fanno onore non solo alla magistratura nel suo complesso, ma prima ancora al nostro abitare la terra; fanno onore, insomma, al genere umano e molto bene farebbero al Paese. Egli, infatti, è davvero una persona fuori dal comune. Trilingue (italiano, inglese, tedesco); procuratore capo a Bolzano in poco tempo riorganizza gli uffici in modo da quasi azzerare gli arretrati e da costituire un modello di lavoro che sarà ripreso dal Ministero e poi diffuso verso tutti gli altri distretti; con ciò, non solo riduce i costi vivi di oltre il 60 per cento, ma anche risponde in tempo reale alle esigenze dei cittadini e soprattutto – cosa più importante di tutte – riacquista la piena fiducia di questi nella funzione giudiziaria; per oltre dieci anni giudice presso la Corte penale internazionale dell’Aja, ne diviene vicepresidente; quale presidente della prima Camera dibattimentale, nel 2019, legge il dispositivo che assolve dal delitto di crimini contro l’umanità il presidente e un ministro della Costa d’Avorio perché la Procura non ne ha provato “oltre ogni ragionevole dubbio” la colpevolezza; da qualche anno sostituto presso la Procura generale di Milano.

Insomma, un magistrato come pochi, dotato non solo di apertura mentale – come sempre dovrebbe essere – ma anche di solidissima preparazione filtrata da quel “buon senso”, oggi alquanto raro, forse perché – come scriveva Alessandro Manzoni – se ne sta nascosto per paura del senso comune. Il primo propizia il coraggio. Il secondo lo cancella. Ebbene, pochi giorni fa Tarfusser è stato sanzionato dal Consiglio superiore della magistratura con la censura: blanda, ma pur sempre una sanzione. Quale è la sua colpa? Aver depositato presso la cancelleria della propria Procura una istanza di revisione della condanna all’ergastolo di Olindo Romano e della moglie Rosa, senza averla prima concordata con il capo della Procura, come previsto dalle linee guida dell’ufficio. Ciò costituirebbe un illecito disciplinare sotto il profilo della scorrettezza nei confronti del procuratore capo: da qui la censura.

Osservazione preliminare. Secondo la giurisprudenza disciplinare del Csm, per configurarsi una tale scorrettezza occorre che l’accusato ne abbia tratto un “indebito vantaggio”. Non si vede qui dove risieda un tale vantaggio da parte di Tarfusser, a meno che non lo si individui nel fatto che egli aveva bisogno di tacitare la propria coscienza, rosa dal dubbio circa la colpevolezza dei due ergastolani. E allora sarebbe benvenuto ogni vantaggio del genere, adatto a scuotere coscienze troppo spesso assopite, ma che, proprio per questo, si faticherebbe a qualificare “indebito”, apparendo invece perfino “doveroso”, nella misura in cui non è possibile vivere come esseri umani senza ascoltare la voce della coscienza: anche se oggi molto comune, sarebbe solo un sopravvivere.

Osservazione ulteriore. Tarfusser sostiene di aver avvisato il Capo di un affare urgente e assai delicato di cui parlargli, ma di non aver ricevuto tempestiva risposta. Non so se sia così. Credo, tuttavia, che forse nel suo cuore troppo bruciasse il dubbio che due esseri umani innocenti stessero scontando l’ergastolo ingiustamente e che perciò, senza attendere autorizzazioni, che avrebbero fatto perdere tempo prezioso, abbia ritenuto necessario muoversi prima invece che dopo. Tarfusser sa bene come, per chi sta dietro le sbarre, un sol giorno vale come un secolo. Ma, visto che egli si è attirato critiche e condanne, vien da chiedersi se i suoi colleghi lo sappiano o se per caso – come parrebbe – se ne siano dimenticati.

Per questo egli ha detto come “il buffetto della censura che mi è stato inflitto ben poco abbia a che fare con il diritto e la giustizia, ma sia una decisione di politica giudiziaria per via disciplinare volta a tutelare un sistema giudiziario ormai in decomposizione. Assolvermi avrebbe non solo delegittimato i vertici della Procura generale di Milano, ma avrebbe messo in pericolo la fallimentare politica delle nomine ai vertici degli uffici giudiziari dominata dalla perversa correntocrazia che il cosiddetto scandalo Palamara non ha minimamente scalfito”. In questo modo, i dispensatori di certezze assolute cecano di arginare chi eserciti l’antica e sapiente virtù del dubbio. Lasciamo ai lettori di capire quale di queste due regioni è bene abiti chi abbia scelto per professione di giudicare i propri simili.

Aggiornato il 04 marzo 2024 alle ore 09:41