M5S esperto nella politica del bluff

“Già c’è troppa movida, mica vorranno mandare Alfonso Bonafede a fare di nuovo il deejay!”, era la battuta di prima, in attesa della sfiducia che non c’è stata. Adesso non è più tempo di battute, detto inter nos, perché se funzionavano prima dell’invito – raccolto e praticato in primis da Matteo Renzi – al turarsi il naso, ora è il tempo dei vincitori e dei vinti.

Ad una prima lettura, come capita spesso in politica, hanno vinto tutti, maggioranza e opposizione, ma è abbastanza evidente che questa mano della partita, meglio del poker, se l’è aggiudicata Giuseppe Conte, il Movimento 5 Stelle e un ministro la cui dimissioni dovevano essere richieste fin dalla famigerata cancellazione della prescrizione, ma che oggi viene salvato, di nuovo, in una partita parlamentare nella quale la tecnica del bluff ha vinto la partita. Per ora, dice qualcuno, eppure l’aver respinto il “se non ora, quando?” non può non apparire come un’occasione sprecata proprio per non aver visto quel bluff.

In realtà, la compagnia d’avanspettacolo grillina è specialista in questa tecnica, se è vero come è vero che ha manipolato il gioco fin dall’inizio minacciando fuoco e fiamme, mostrandosi irata e urlante contro tutti, ma era una trappola, una rappresentazione, una fiction scambiata (da molti) per realtà e che ha consentito loro ampie vendemmie elettorali servite, ben presto, nella scalata del Governo, prima con Matteo Salvini e poi con Nicola Zingaretti, mostrando un attaccamento al potere per la cui conservazione sono diventati imbattibili specialisti.

Di fronte al problema dell’impresentabile Bonafede la partita per il M5S, col tremulo Zingaretti e con un ondeggiante seppur determinante Renzi, era più difficile; ma la sua oggettiva complessità è stata progressivamente sminuita con la nuova minaccia dell’inevitabilità di una crisi di governo e di elezioni anticipate. Come in una partita a poker fu creata, grazie anche ad un coro mediatico predicante la responsabilità in un mix di horror talk-show e di reality-trash, il preambolo delle dimissioni di Conte ritenute funeste per il Paese e immancabili dopo l’approvazione della sfiducia.

A questo punto, il gioco del bluff ha svelato tutta la sua potenza nel mostrare lucciole per lanterne, ovvero nel minacciare che la caduta di Bonafede implicava la caduta di tutti gli altri, a cominciare dai ministri grillini, e l’avventura di nuove elezioni in una fase delicatissima per il Paese. Un argomento valido, ma in una politica degna di questo nome. Una tesi, tuttavia, non solo sopravvalutata ma fuorviante nella misura nella quale veniva accettato il gioco pentastellato di un Bonafede che avrebbe trascinato nel baratro tutto e tutti quando, e molto probabilmente, se ne sarebbe andato da solo, e sostituito magari da una renziana perché i pentastellati avrebbero capovolto a proprio favore (e del Pd) la predicazione in nome dei principi “etici”, che sono la loro specialità, fra cui il senso di responsabilità verso la nazione e l’Europa.

Matteo Renzi sa bene che fare la politica comporta qualche rischio calcolato, ma nel calcolo doveva mettere il carattere essenzialmente pro domo sua del M5S e, quindi, andare a vedere quel bluff, ma non l’ha fatto, anche lui per senso di responsabilità, e turandosi il naso.

È una narrazione, la nostra, per assurdo, ma non tanto. Intanto Bonafede resta. Conte continuerà. E farà, come dicono in tanti, un suo partito.

Aggiornato il 22 maggio 2020 alle ore 10:22