Riforma del processo penale, il Governo del non fare

Il Consiglio dei Ministri, pochi giorni fa, ha approvato la riforma del processo penale, quella che, nelle intenzioni, dovrebbe fare da contraltare all’azzeramento della prescrizione dopo il primo grado di giudizio, velocizzandolo in modo rilevante.

Vediamone gli aspetti principali, che sono quattro, distinguendo di volta in volta cosa disastrosamente vuol fare il Governo e cosa invece dovrebbe fare per risolvere la situazione, ma non farà.

1) Il Governo vuole imporre una durata non superiore a quattro anni – o cinque per i reati più gravi – dei processi, modulando in modo più articolato la durata delle indagini e sanzionando i giudici se essi dovessero superare quel termine.

Il Governo sposa qui la stessa logica – folle ed antigiuridica – del celebre “letto di Procuste”, brigante di cui narra la mitologia greca – forse ignoto a Di Maio – che usava torturare i malcapitati di passaggio con un metodo sicuro e molto spiccio: li deponeva su di un letto molto lungo se di bassa statura e su di uno molto corto se di alta statura, stirando atrocemente le membra dei primi e segando gli arti dei secondi, allo scopo di farli aderire esattamente alla lunghezza del letto prescelto.

Il sapere mitologico stigmatizzava in questo modo l’apparire di uno stolido pensiero unico che, incapace di risolvere dall’interno i problemi reali, preferisce violentarli dall’esterno, a costo di fare più danni di quanti ne riesca a rimediare.

Così Procuste. Così il Governo col processo penale. Immaginatevi poi il giudice al quale il difensore chieda di ascoltare un teste determinante per la difesa, ma ormai sulla soglia dei cinque anni: ovviamente si guarderà bene dall’ammetterlo, per salvarsi da una sanzione disciplinare, con tanti saluti alla giustizia delle sentenze, della quale, è ormai evidente, al Governo non importa assolutamente nulla.

Qui, cosa dovrebbe fare il Governo, ma non farà? Dovrebbe solo depenalizzare massicciamente una mole impressionante di reati che ingolfano inutilmente i Tribunali (si pensi ai reati d’opinione come la diffamazione), sgravandoli di oltre il 30 per cento del lavoro e consentendo loro di occuparsi delle cose davvero serie.

Non si farà.

2) Il Governo ha sposato il doppio binario per la prescrizione, la quale se dopo il primo grado di giudizio l’imputato è assolto continuerà a decorrere, se invece è condannato si bloccherà.

Si tratta di una previsione chiaramente incostituzionale, perché dimentica che ogni imputato, secondo la Costituzione, è innocente fino alla sentenza definitiva e che perciò non si può impunemente introdurre una disciplina di favore a vantaggio di uno e a svantaggio di altro, così creando una indebita ed illegittima sperequazione.

Ma questa cosa così semplice per i pentastellati è come parlare turco e comunque urta contro il loro endemico furore giacobino, incurabile finché non si tocchi uno di loro in prima persona: allora cambierà tutto. Aspettiamo.

Qui, cosa dovrebbe fare il Governo, ma non farà? Dovrebbe tornare a disciplinare la prescrizione senza isterismi e furori ideologici, comprendendo di cosa si tratti e prevedendo una prescrizione diversificata a seconda della gravità del reato contestato.

Non si farà.

3) Il Governo intende incentivare il ricorso al patteggiamento, estendendone la possibilità anche per i reati puniti fino ad otto anni di reclusione e dichiarandosi sorpreso per lo scarso ricorso ai riti alternativi finora sperimentato.

Il Governo ignora che se i riti alternativi son poco frequentati è perché il patteggiamento è e rimane comunque fortemente punitivo, non rappresentando per nulla quella “via di fuga” che si sperava potesse diventare rispetto al processo penale: basti pensare che chi abbia patteggiato deve comunque pagare le spese processuali ( ma perché, se non si tratta di condanna, ma di un accordo? ) e va incontro ad impedimenti di notevole portata: per esempio, non potrà svolgere le funzioni di amministratore di società per cinque anni.

E allora perché – di grazia – un amministratore di società dovrebbe patteggiare, sapendo che questo accordo gli impedirà per lungo tempo di lavorare? Preferisce il processo normale, sperando di essere assolto. Mi pare ovvio. Ma non per il Governo.

Qui, cosa dovrebbe fare il Governo, ma non farà? Dovrebbe rendere il patteggiamento davvero appetibile, escludendo il pagamento delle spese processuali e soprattutto ogni effetto penalizzante su chi voglia patteggiare.

Non si farà.

4) Il Governo intende abolire la obbligatorietà dell’azione penale, dando facoltà al Procuratore della Repubblica di concordare con il Procuratore Generale e con il Presidente del Tribunale quali reati perseguire a preferenza di altri, tenendo conto delle risorse umane, tecnologiche e finanziarie dell’ufficio e della realtà territoriale e criminale su cui esso opera.

Peccato che la obbligatorietà dell’azione penale sia prevista dall’articolo 112 della Costituzione che recita: “Il pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”.

La previsione del Governo è perciò chiaramente incostituzionale e stupisce che Giuseppe Conte – docente ed avvocato – non lo percepisca subito.

Qui, cosa dovrebbe fare il Governo, ma non farà? Dovrebbe riformare la Costituzione attraverso l’apposito procedimento, dicendo a tutti che intende abolire la obbligatorietà dell’azione penale, invece di farlo di nascosto, quasi sperando che nessuno se ne accorga.

E poi studiare un congegno di collegamento fra Procure e Governo sulla selezione dei reati da perseguire, che sia pubblico e trasparente e sottratto perciò al chiuso delle stanze degli uffici di Procure e Tribunali alle quali si vorrebbe invece totalmente delegare la scelta.

Non si farà.

Come si vede, il Governo non sa quello che fa: letteralmente. E tuttavia lo fa. Ma non fa ciò che dovrebbe. Ne attendiamo con trepida speranza la caduta più celere possibile.

Aggiornato il 17 febbraio 2020 alle ore 13:23