Elezioni anticipate e chi non le vuole

La sentenza della Cassazione produrrà, molto probabilmente, un effetto insperato per il traballante Governo Conte bis.

Nel senso che la paura della certa riduzione del numero dei parlamentari non può non provocare, fin da ora, un’incertezza staremmo per dire fatale a proposito della riuscita di non pochi di loro oggi in Parlamento, nel prossimo. Non si vorrebbe dunque dire che la paura fa novanta a Montecitorio e a Palazzo Madama, ma che il pensiero di finire col fare parte di quella futura quota ridotta e, soprattutto, non eletta, è comunque comprensibile.

Innanzitutto, da parte dei pentastellati è e sarà loro premura di insistere sulla azione governativa, se non riformatrice (fino ad ora quanto mai fievole), almeno sulla capacità di barcamenarsi fra le varie difficoltà e, ovviamente, facendo i conti con un Partito Democratico che sembra rialzare la testa anche se, a ben vedere, l’operato di Nicola Zingaretti – che vuole un partito del tutto nuovo – non ha mantenuto fede alle roboanti promesse sia di cambiamento sia di contaminazione dei grillini alleati al punto tale da piddizzarli. Il risultato, fino ad ora, sembra il suo rovescio. In attesa, ovviamente, del risultato emiliano di domenica.

Ma se la permanenza di Giuseppe Conte è l’obiettivo preminente dei pentastellati, non vi sono molti dubbi che l’analoga esigenza sia avvertita proprio da quel Zingaretti che ha a che fare con un partito che, a cominciare dal contesto emiliano-romagnolo, è assai mutato rispetto ai trionfi “rossi” del bel tempo che fu, e al di là della dignitosa amministrazione di chi ha governato la Regione.

È infatti del tutto palese e verificabile che in quel contesto la divisione fra città e periferie, fra realtà metropolitane e provincia si è acuita, se non drammatizzata, fino al punto da rendere comprensibile (e scusabile) a non pochi la imprevista e non molto elegante schiacciata salviniana del citofono dal sapore di certo provocatorio ed elettoralistico ma, a suo modo, indicatore di quel problema di fondo della sicurezza – ancorché abbinata, non del tutto casualmente, alla realtà dell’immigrazione i cui problemi sono all’ordine del giorno. E lo sono anche per non pochi partiti, a cominciare dal Pd e dalla stessa Chiesa sotto l’insegna dell’aprire a tutti, di un’accoglienza sic et simpliciter, con una faciloneria degna di miglior causa. Nonostante il segnale di preoccupazione derivatone da tempo.

E il segnale dovrebbe (lo diciamo al condizionale) produrre riflessioni a cominciare da un Pd che, tra l’altro, ha subito recentemente la scissione da parte di un Matteo Renzi pronto a sparare bordate a Giuseppe Conte e agli ex compagni ma, al tempo stesso, bisognoso di crescere, date le non esaltanti rilevazioni sondaggistiche per un movimento dotato di non pochi parlamentari fra i quali prevalgono (e non potrebbe essere diversamente) forti desideri di mantenere lo status quo contiano e, dunque, assai poco propensi nei fatti (e non nei proclami) alla sua liquidazione, pronuba di elezioni anticipate. Alle quali, fuori dalle in un certo senso obbligate minacce di crisi, non può non guardare con una certa inquietudine un Silvio Berlusconi il cui partito non pare godere di ottima salute, il che è del resto una “malattia” contratta da diverso tempo e, ad essere sinceri, con sue non poche responsabilità. Dunque non è affatto escluso che lo stesso Cavaliere si ponga l’antica domanda del cui prodest?, ferma restando la solida e solidale alleanza con Matteo Salvini, ma in termini e numeri rovesciata rispetto a prima.

Cosicché la voglia politica di mandare a casa l’attuale esecutivo per elezioni anticipate appartiene ad un leader della Lega che ha saputo trovare non soltanto i temi essenziali di una campagna elettorale trasformata da regionale in nazionale, ma ne ha contraddistinto tutto lo svolgersi, grazie sia ad un team efficiente e moderno di curatori della sua immagine sia, specialmente, alla sua capacità di attribuire grande valenza al contatto diretto con gli elettori nelle migliaia di comizi, unendo modernità e antichità in un quadro di una politica dove prevale un vuoto, anche oppositorio, che Salvini sta riempiendo. E non solo in Emilia-Romagna.

 

 

Aggiornato il 27 gennaio 2020 alle ore 11:26