Conte, se il suo nemico è dentro

È davanti agli occhi di tutti lo spettacolo di una navicella sempre più traballante e pericolante con un nocchiero incerto su una rotta piena di insidie e trabocchetti, tanto più perigliosi quanto più attivati dall’interno della stessa barca, sia pure con l’eco minacciosa delle ostilità di Matteo Salvini, sullo sfondo di una situazione nella quale al cosiddetto terzo incomodo (di nome Matteo Renzi) potrebbe convenire, come ha notato il nostro direttore, staccare la spina ad un Governo che non ha mai nutrito molta amicizia per l’ex Premier. A cominciare dall’attuale “nocchiero”, peraltro in un mare di guai.

Qualcuno le ha definite chiamate di correo quelle più volte iterate dal Premier nei confronti di Salvini e altri leghisti in questa ennesima rissa parlamentare. In un certo senso le impuntature contiane – vestite come sempre d’eleganza con tanto di fazzoletto al taschino – avevano di certo un sottofondo di acrimonia nei confronti dei “pentiti del Mes” non foss’altro per l’apparente evidenza di queste sue accuse.

E diciamo apparente questa mancanza di dubbi proprio per la complessità del tema “Salva-Stati”, non a caso contenuto in un trattato non firmato. Donde l’impossibilità sostanziale a definire vinti e vincitori a proposito di questa diatriba, ferma restando la necessità di un approfondimento di un Mes che non è affatto un teorema ma, come tutte le proposte economico-politiche di Bruxelles, si porta con sé l’esigenza di miglioramenti nel quadro di un’alleanza non formale.

A ben vedere – e come lo stesso Salvini tonante in Senato ha più volte indicato a Conte una freccia viaria dall’indirizzo opposto al suo, diretto dentro i banchi del governo – il problema principale del Premier sta appunto sui banchi che proprio lui presiede ma che proprio nei suoi confronti, e non da quest’ultima svolta politica, lo stringe d’assedio. Il suo problema si chiama Luigi Di Maio, per farla breve, ma non di un solo nominativo si tratta, benché importante, poiché nella sfibrata tessitura di questa compagine vanno sempre più evidenziandosi non soltanto i suoi vistosi limiti, ma un insanabile contrasto politico interno cui l’alleato piddino non ha saputo, e forse voluto, opporre critiche e proposte alternative, e la cui assenza ha simbolizzato una resa di fatto, dovuta al crollo identitario di un forza spacciatasi per riformista quando, al contrario, non è riuscita neppure a conciliare i suoi programmi parolai con un minimo di sforzo inventivo. Facendosi spesso dettare l’agenda dal nullismo vociferante grillino.

Ciò che stupisce in una situazione sempre più pericolante, è l’assenza. Il silenzio, il vuoto da parte di un Partito Democratico che, al contrario, avrebbe potuto esprimere volontà e impegni dentro un’alleanza in cui la voce e l’iniziativa pentastellata si è fatta tanto più fievole e contraddittoria quanto più si mostravano appuntiti gli aculei di un Di Maio anti-Conte, sullo sfondo di un’opposizione salviniana sempre più accanita e sotto il segno di una campagna elettorale permanente. Per elezioni che prima o poi arriveranno, smentendo, come più volte questo giornale ha notato, l’assunto facilone e accomodante nella costruzione, a suo tempo, di una maggioranza con l’unico, o quasi, scopo di togliere di mezzo Matteo Salvini, allora stretto alleato di Luigi Di Maio. E non vi è dubbio che qualcosa di quell’antica comunanza si sia protratto nel tempo, dando più veemenza all’opposizione salviniana, già di suo irruenta ma, col dimaismo affiancato, sempre più assediante il buon Giuseppe Conte, costringendolo in una sorta di tagliola.

Una trappola, insomma, nella quale lo stesso Matteo Renzi, come si è visto, rischia di finire prigioniero pressato com’è, da un lato da un’inchiesta della quale sembrano i maggiori esegeti i giustizialisti mediatici in servizio permanente effettivo, e dall’altro dalla ostilità di tutta evidenza proprio da parte di quella compagine della quale è il sostenitore decisivo.

E il cui prodest dovrebbe prima o poi risuonare in Renzi e nel renzismo, con scelte di fondo che ne ristabiliscano una credibilità posta oggi sempre più a rischio sia dagli inclementi Pm sia dalla permanenza in un Governo che è la negazione degli stessi principi garantisti più volte espressi dalla narrazione politica renziana. Ma, come si dice, il tempo stringe.

Aggiornato il 04 dicembre 2019 alle ore 11:37