Governo: se c’è la paura di votare

È pur vero che quando si sta al governo (nel potere…) è meglio non rischiare. E le elezioni sono quasi sempre un rischio. Anche perché non sono dovute, anzi. Non solo, ma la complessità politico-istituzionale di elezioni anticipate richiede una compartecipazione di più soggetti, tanto più quando la parola che decide deriva dal Presidente della Repubblica. A parte una sorta di “permesso” concesso o strappato alla minoranza.

Ma oggi il caso italiano, guardato con occhi per dir così neutrali, non pare riesca ad uscire da una speciale trappola che è tanto più visibile e verificabile a cominciare dallo spegnimento progressivo dell’azione governativa – vedi il caso o caos esemplare dell’Ilva – che è scattata e non da oggi, sia per un Movimento 5 Stelle alla deriva e sia, soprattutto, per il partito di Nicola Zingaretti. Fermo restando che, dall’altra parte, il vento in poppa che spira nella vele salviniane non può che irrobustirsi qualora si svolgesse una chiamata alle urne prima della scadenza naturale, sia pure con una Forza Italia la cui crisi viene da lontano e si sta ingrandendo mano a mano che quella specie di gioco ai quattro cantoni fra Mara Carfagna, Giovanni Toti, Silvio Berlusconi, Matteo Renzi e quant’altri (me ne vado, resto, andatevene, vi aspetto, che faccio?…) sta assumendo aspetti ora bizzarri ora grotteschi. A parte, si capisce, le diverse convenienze personali in riferimento ad una propria collocazione in liste diverse dalle rispettive provenienze su cui non possono mancare i veleni per il cosiddetto salto della quaglia.

Gli stop-and-go in simili faccende se da un lato fanno risaltare ulteriormente la contraddittorietà endemica di un Esecutivo realizzato soprattutto sull’obbligata alleanza fra due implacabili nemici pur di bloccare una vittoria di Matteo Salvini, infiacchiscono ovviamente l’azione governativa, ma, soprattutto, rendono sempre più clamoroso l’atteggiamento di uno Zingaretti divenuto un vero e proprio yesman di fronte ai diktat di un Luigi Di Maio qualsiasi, sullo sfondo di un Renzi che, alternando un giorno un lasciapassare alla maggioranza fino alla scadenza naturale e il giorno dopo un affondare gli aculei, in gara col ministro degli Affari esteri, costituisce una minacciosa spina nel fianco per il Partito Democratico. È del resto naturale che il renzismo risulti a sua volta contradditorio nella misura in cui, mentre garantisce l’attuale maggioranza addirittura con due ministri, auspichi al tempo stesso uscite parlamentari provenienti dal centrodestra.

In questo quadro, un immoto Zingaretti ha dimenticato una regola di fondo della politica (quando c’era) che impone a chi la sa fare, e in momenti di particolare difficoltà, movimenti e mosse uguali e contrarie a quel nemico di turno che è tanto più insidioso quanto più si è scisso dal suo partito, godendo, a maggior ragione, dei vantaggi sia di una condivisione della stessa maggioranza sia delle critiche più crudeli contro la stessa. In una tale situazione, proprio a Zingaretti non potrebbe non convenire la scelta di un’anticipazione elettorale che non soltanto metterebbe in crisi il suo ex “compagno”, ma getterebbe nelle pesti un movimento pentastellato uscito assai malconcio dopo la recente batosta nelle urne e quasi costretto, in quel caso, a rilasciare una sia pur piccola parte di quei voti strappati, nei tempi del grillismo trionfante, all’ex partito che fu di Enrico Berlinguer.

Intendiamoci, anche il contrasto altrui contro un anticipo nelle urne potrebbe risolversi in maggioranze ribaltate, magari grazie anche un mai fermo Matteo Renzi. E con un Salvini mai disattento. Ma per chi fa politica, il rischio è il suo mestiere. A saperla fare, si capisce. Peraltro, se l’animus zingarettiano è privo di accensioni, quello del Paese non può che riflettere drammaticamente la sua reale condizione economica: la crescita dell’Italia si colloca all’ultimo posto in Europa nel 2018 e probabilmente lo sarà nel 2019, l’occupazione è sempre al di sotto della media nell’Eurozona, gli investimenti pubblici sono in calo, ecc..

C’è dunque la paura di votare. Ma, come diceva quel tale, chi si ferma è perduto. Non a caso il movimento senza soste premia e premierà un onnipresente e instancabile Salvini.

Aggiornato il 13 novembre 2019 alle ore 11:19