Parlamento: suicidio non assistito

La riforma del Parlamento che ne decurta il numero di componenti ha tutto il carattere di un suicidio.

Suicidio non assistito da un minimo di riflessione e di ragionevolezza, voti sull’avvenire delle istituzioni democratiche e della stessa Repubblica dati pensando soltanto ai titoli dei giornali dell’indomani. Anzi, a quelli di ieri. Non dell’altro ieri perché, ad esempio, il Partito Democratico ha votato a favore mentre nella precedente votazione aveva votato contro.

Le critiche, i problemi di questa “riforma da Bar dello Sport” delle istituzioni fondamentali (ricordate Ingrao con il suo insistere sulla “centralità del Parlamento”?) sono arrivati solo all’indomani. All’indomani del voto abbiamo letto sui giornali alcune delle considerazioni negative che noi, cioè io, povero vecchio in età che comporta il diritto al rincoglionimento, avevo scritto già diversi giorni fa. Ad esempio l’impossibilità, con la riduzione del numero dei parlamentari, di assicurare una adeguata rappresentanza alle minoranze etniche. Per non dire delle minoranze ideologiche, storiche, sociali.

Parole imbecilli, più imbecilli del solito, sono state, invece, pronunciate dal solito Luigi Di Maio (quello che annunziò di aver sconfitto la miseria!) che ha inneggiato alla “conquista” di libertà dei cittadini, evidentemente schiavi fino ad oggi della propria “eccessiva” rappresentanza e del proprio diritto di votarla. Alla lesione mortale si aggiunge l’oltraggio.

È oltraggioso nei confronti del Parlamento cantar vittoria per “quello che si risparmia”. Come a dire: i parlamentari sono delle inutili sanguisughe, degli scaldapoltrone. “Meno ce ne saranno, meglio sarà”.

Ai tempi del Partito Radicale, alle consuete follie di Marco Pannella se ne aggiunse quella di Melega, giornalista de “L’Espresso” e portatore di una certa aria di quelle parti, che tirò fuori la “bella pensata” di “tagliare” ogni volta il numero dei parlamentari in proporzione alla percentuale dell’astensione del voto dei cittadini elettori. Una cavolata, voglio ritenerla, una battutaccia di spirito. Ma che oggi possiamo definire la teorizzazione di quella che sarebbe stata la “vittoria del popolo” di quel menagramo di Luigi Di Maio.

L’effetto primario della infame riforma è, intanto, quella dell’impossibilità di sciogliere le Camere. Senza aver prima (quando?) varato una riforma elettorale che almeno tenti di adeguare il metodo di elezione, il numero e la forma dei collegi alla nuova entità dei seggi.

Il suicidio è già consumato per quel che riguarda le forze (si fa per dire) minori. Forza Italia, oltre a perdere l’occasione di presentarsi al Paese come custode della intangibilità della Costituzione e dei diritti che ne derivano, si è condannata a scomparire dal Parlamento. E non è la sola. Oggi per rimanere fedeli all’ideale delle libere istituzioni occorre guardare molto più lontano. Bisogna ricominciare dal rinnovamento dello spirito fondamentale, guardare alla realtà dell’immondizia presente che si è accumulata nelle discariche delle nostre stesse abitazioni, nella nostra tolleranza. Se vincono gli assassini, non si pensi di sostituirli con i suicidi. Vogliamo vivere e conquistarci il diritto di vivere da uomini liberi in una libera Repubblica giorno dopo giorno. A chi ne avrà il tempo, questa nostra invocazione. E la nostra ultima speranza nel loro avvenire.

Aggiornato il 11 ottobre 2019 alle ore 09:51