L’ultimo harakiri della politica

Con quest’ultima decisione dei deputati di autoridursi nel numero, si sta per compiere il miracolo alla rovescia di una classe politica che vuole annichilirsi con le proprie mani in un empito di cupio dissolvi che soltanto i resti di quella che fu una classe dirigente degna di questo nome poteva mettere in scena.

Intendiamoci, la riduzione del numero dei parlamentari (Camera e Senato), l’ha sottolineato più volte questo giornale col suo direttore Diaconale, è stato ripetutamente richiesto negli anni, ma con un’avvertenza obbligatoria: ovvero che sia accompagnata da una contestuale modifica costituzionale per il ruolo programmatico e funzionale di Camera e di Senato, dei quali rimangono, comunque, le identiche parità di funzioni.

Questa riduzione, sbandierata ad ogni piè sospinto dall’annunciatore in ruolo permanente effettivo di nome Luigi Di Maio, rientra nel disegno pentastellato di colpire i parlamentari nel numero ma anche nei vitalizi con forti riduzioni, anch’esse sventolate come riforme decisive in relazione anche e soprattutto ai risparmi di risorse, ritenute poi di poco o nullo conto, cioè risibili, dagli esperti.

Il fatto è che, tuttavia, questi colpi di maglio al Parlamento si sono prestati ad una sorta di accettazione obbligata da parte dei soggetti colpiti in un contesto di penitenziale senso di rimorso e di rimozione in cui, ai colpi suddetti, facevano eco quelli ripetuti sui petti con cori e lamentazioni di pentimento che, tra l’altro, hanno impedito, come nel caso della riduzione, ogni altra riflessione in merito che soltanto Emma Bonino ha voluto indicare.

E bisogna riconoscere che il disegno di Beppe Grillo e di Casaleggio padre (e figlio) di colpire a morte il Parlamento ritenuto sentina di ogni vizio, di ogni inciucio e, soprattutto, di ogni corruzione, sta avendo il più sicuro dei successi proprio nelle decisioni di cui sopra, pressoché unanimistiche, che nella loro pedissequa accettazione confermano proprio quelle motivazioni colpevolizzanti grilline che, per l’appunto, vogliono bensì un depotenziamento del Parlamento, ma nella finalità ideologico-politico del Movimento, e sottolineano la sostanziale inutilità dello stesso, colpendo al cuore né più né meno che la democrazia, giacché questa trova rappresentanza, dopo libere elezioni, e la si esercita nelle sue sedi proprie, ovvero la Camera e il Senato.

Nel mirino dei 5 Stelle, nell’impeto urlato da anni del “vaffa”, il bersaglio vero, al di là dei soliti poteri forti, delle “menzogne” di Bruxelles, della pericolosità dell’Euro ecc., era ed è la squalificata e immonda Casta, i suoi rappresentanti, i parlamentari, e non è affatto riduttiva la conclusione che sia la politica stessa, nella sua essenza liberale, nella complessità e nella funzione, il nemico da abbattere in quanto ostativo della democrazia più piena e moderna, la democrazia più valida ed autentica, quella digitale. Dsds –dssd

E non è un caso che il M5S – pur nell’incredibile ribaltone per dir così ideologico che li ha portati al Governo prima con i detestati leghisti e dopo qualche mese con i nemici piddini, ma con Giuseppe Conte premier in entrambe le maggioranze – rimanga indifferente a collocazioni di destra, di centro e di sinistra, che, mai, anche negli eccessi protestatari d’antan, non meritavano alcuna attenzione. Semmai un’attenzione sempre accesa era ed è rinvenibile nel seguire le linee programmatiche nutrite del giustizialismo di sempre, sotto un controllo tacito ma effettivo del “marketing populista” di Davide Casaleggio, pochi giorni fa ospite, grazie ai pentastellati prima di lotta e ora di governo, dell’Onu.

Su questo sfondo la riduzione del numero dei parlamentari appare simile ad una gara alla ricerca della purezza, ad una corsa per abbeverarsi alle fonti immacolate della Polis, nella luce più abbagliante nell’avvento del Nuovo che Avanza levando alte le laudi per la liberazione dalla Politica. Così succede in ogni harakiri…

Aggiornato il 09 ottobre 2019 alle ore 10:23