Una debolezza in meno ma non per Conte

Non si può non aprire queste note ravvedendo nell’incontro (finalmente! Matteo Salvini poteva chiederlo prima) fra i due leader di Forza Italia e della Lega un segnale che va di certo contro l’inevitabile debolezza che il berlusconismo, non più di governo ma di opposizione, sta soffrendo, se ci mettiamo, oltre la sconfitta elettorale, la scissione di Giovanni Toti che, ironia della sorte “politica”, tende a proclamarsi più liberale di tutti. Chi vivrà vedrà, come si dice in questi casi.

E non v’è alcun dubbio che il vincitore delle elezioni, Matteo Salvini, non può non prendere atto e al tempo stesso farsi carico di un’alleanza che gli incontri sembrano fare rivivere purché non la si dia per scontata, anche e soprattutto per i movimenti interni a Forza Italia, in un senso, cioè con un occhio privilegiato alla Lega, e in un altro, cioè con lo sguardo più attento ad un’opposizione tanto morbida da non escludere scossoni proprio nei confronti di un salvinismo che non rientra nelle corde di una certa predisposizione ai dissensi, sia pure riconfermando l’alleanza di cui sopra. Anche in questo caso, chi vivrà ecc..

La spinta per il Polo, indubbiamente positiva, non può essere rivolta, ad ogni buon conto, sia alla compagine di maggioranza sia allo stesso Presidente del Consiglio la cui proclamazione urbi et orbi di un modo nuovo di governare improntato a umanità, solidarietà, buona educazione, soavità e chi più ne ha più ne metta, sembra volutamente imporre un silenzioso pudore sulle manovre durate giorni per sistemare le caselle del sottogoverno che gli eroici sforzi pentastellati hanno respinto sdegnosamente respingendo qualsiasi ignobile accusa di spartizione del potere appartenente semmai alle immonde pratiche dei partiti d’antan, col risultato, per qualsiasi osservatore neutrale, di essere comodamente accomodati, come prima (Conte I) che ora (Conte Bis) in quello che veniva definito proprio dalle loro urla forsennatamente antipolitiche, il formaggio.

Intendiamoci, non si vuole fare qui una critica pregiudiziale e moralistica alle suddette pratiche che sono un patrimonio comune, sia pure da criticare, di tutti i partiti una volta assisi (democraticamente) al governo, ma a una sorta di voltagabbanismo tipico di chi predica bene e razzola male, per di più con fortissime accentuazioni di un giustizialismo le cui tracce sono visibili nel nuovo Esecutivo, alla faccia della sbandierata discontinuità zingarettiana.

Il fatto è che, come si sostiene da diverse parti, il governo è al “piccolo trotto” vuoi perché Giuseppe Conte promette ciò che aveva promesso e non mantenuto poco più di un anno fa, vuoi perché la sua per dir così novità è comunque fondata su ricette antiche giacché non pare affatto voler risanare la situazione economica ma trovare nuovi soldi per spendere, vuoi, ad essere necessariamente maligni, perché lo stesso Premier aveva in un certo senso elogiato la “destra sovranista” esattamente come, all’opposto, ha elevato laudi a un neoriformismo in salsa italica ma comunque globalista.

Il fatto è che da parte del Partito Democratico e del Movimento 5 Stelle c’è ancora una sottovalutazione proprio di quella immigrazione che è stata ed è la causa principale della loro sconfitta elettorale e, per converso, la più vera ragione del successo di Matteo Salvini, non a caso capo del primo partito in Italia, ed è appunto su queste ragioni che è mancata una riflessione, allargata al super tema della sicurezza che, insieme all’immigrazione, ha spostato consistenti masse di voti, come del resto è capitato in altri Paesi europei, vedasi la Germania della cancelliera Angela Merkel.

La questione migratoria è comunque da maneggiare con estrema cautela - le modalità di Minniti non erano sulla cattiva strada - rifiutando certo il razzismo ma al tempo stesso, respingendo ipocrisie e buonismi che sottendono un’accoglienza, tanto a buon mercato quanto densa di pericoli, anche perché è un’accoglienza che non accoglie, destinata all’accentuazione proprio della tematica della insicurezza. Non v’è dubbio che uno sforzo per un coinvolgimento europeo va compiuto, anche se si profilano non poche difficoltà, e forse la stessa nomina di Paolo Gentiloni potrebbe influenzare i numerosi niet, ma lo stesso ex premier ora a livello europeo, pare già sotto controllo se non addirittura commissariato dopo la nomina del lettone Valdis Dombrovskis a vicepresidente della Commissione europea con delega all’Economia (carica peraltro di nuovissimo conio); una nomina che viene letta da diversi osservatori a Bruxelles come una decisione tesa a limitare le prerogative di Gentiloni.

Aggiornato il 16 settembre 2019 alle ore 11:29