Salvini sempre oltre il trenta per cento, ma poi?

Sondaggi o non sondaggi, il leader della Lega viaggia ben oltre il trenta per cento, cifra che secondo i suoi nemici è lontana da quel 40 da lui agognato prima del 4 marzo.

Certamente. Ma anche ai più accidiosi antileghisti non può sfuggire questo dato, non poco elevato e soprattutto rimasto tale e quale anche dopo la fatidica data elettorale, con l’autentica giravolta di un Luigi Di Maio, con quel che segue.

La tenuta egregia salviniana è del resto testimoniata da adesioni costanti, sia pure tacitate o quasi da non pochi mass media, di amministratori pubblici provenienti prevalentemente da Forza Italia, un “partito non partito” il cui sgretolamento è in atto da diverso tempo ma al quale non pare che il movimento di Silvio Berlusconi, a cominciare proprio dal suo fondatore, non sembra (meglio, non sembrava) dare eccessiva importanza.

Il brusco risveglio postelettorale sembra tuttavia aver messo in moto quella parola magica, “politica”, che da anni è apparsa a non pochi elettori d’antan nonché agli osservatori, estranea, negletta e comunque archiviata. È forse presto dire che per le poche (rispetto a prima) decine di parlamentari di Forza Italia sia iniziata un fase diversa rispetto ad un’alleanza con Matteo Salvini e Giorgia Meloni, un duo che ha comunque ottenuto un notevole risultato che si iscrive comunque nel successo personale di un Salvini il quale, anche e soprattutto nell’abbaglio (ad essere buoni) decisivo dell’avvio della crisi (con le sue conseguenze del Conte-Zingaretti al potere), non ha avvertito di quel passo falso lo stesso alleato di Arcore.

Intendiamoci: come sopra si diceva, nonostante non sia più a Palazzo Chigi, la fiducia nel Carroccio non è calata e la capacità seduttiva del suo Capitano continua fra gli amministratori pubblici e, come hanno fatto più volte trapelare dalla Lega, altri annunci in tal senso dovrebbero provenire da parlamentari di altri partiti, a cominciare dal Movimento 5 Stelle, con una scissione in occasione della fiducia al Conte bis.

Ma il punto vero rimane comunque l’affezione al gioco solitario che Salvini ha condotto fino ad ora; una sostanziale indifferenza per l’alleata Forza Italia che anche nelle ultimissime interviste non solo non viene stimata per la sua importanza “a prescindere”, ma valutata praticamente di poco o punto valore e comunque assente nei piani e progetti futuri che, al di là di qualsiasi considerazione riduttiva (e non poco pericolosa) della durata del nuovo Esecutivo, non può non riflettere sul fatto che anche a Salvini e Meloni, alleati di ferro, oltre che a Berlusconi, alleato morbido, l’opposizione è e sarà una sorta di traversata nel deserto.

In attesa di una riscossa che non è a portata di mano, il tema dell’alleanza non può e non potrà non porsi ma le premesse negli atteggiamenti di Salvini non paiono affatto indirizzati in tal senso, apparendo Forza Italia, a lui e molti suoi compagni, più come un peso che come un’occasione forse perché abbagliati, ancora, dalla tenuta nei sondaggi ai quali proprio il nuovo ruolo dovrebbe fruttare non pochi consensi alla prossima, come si dice nella moderna vulgari eloquentia di cui è cosparso il neo linguaggio di molti, a cominciare da Salvini stesso.

Non così, e non soltanto nelle parole sempre – soppesate (fin troppo!) da Silvio Berlusconi – che già all’indomani del risultato del 4 marzo non ha calcato la mano sull’alleanza che stava profilandosi, della quale, anche oggi, viene aspramente criticata per la sua essenza dal riesumato Fronte Popolare, ma lasciando capire che quella berlusconiana sarà comunque un’opposizione, come si dice, sulle cose, non pregiudizialmente accanita, insomma morbida la cui diversità rispetto a quella leghista è già esplicitata dall’assenza nella manifestazione in piazza di oggi.

Si sussurra che dagli stessi interna corporis arcoriani provengano voci secondo le quali si mettono in evidenza i cosiddetti tradimenti salviniani una parola forse eccessiva al posto di quella più usata, vale a dire gli sgarbi (che per lo stile di un educato Berlusconi sono simili ad un’offesa) fatti ripetutamente, col seguito, per ora, delle insistite sottolineature costruttive della diversità: istituzionale, riformista, europea ecc., come vero patrimonio del berlusconismo. Una contrapposizione all’interno di un’alleanza che era in un certo senso velata nell’invito all’unisono di elezioni immediate, ma soprattutto a parole, giacché pochi o punto in FI tifavano per le stesse osservando sia i magri risultati ottenuti sia la realtà di un’alleanza non solo poco fruttifera ma non molto gradita. Ieri e oggi. E domani?

Se il problema più immediato per Salvini sta nelle vicinissime elezioni regionali dell’Emilia-Romagna dove misurare la tenuta per dir così locale della Lega, non vi è dubbio che una riflessione su un pur soddisfacente 30 per cento non può non allargarsi proprio sull’aumento o meno di quel numero che non può non implicare la necessità di un’alleanza. A meno che nei disegni salviniani prevalgano non tanto i deliri di onnipotenza, da troppi riversatigli contro sommariamente e indiscutibilmente, ma la volontà di vincere da solo (con la Meloni, certo) e di non dividere il successo(se verrà) e il suo dopo con nessuno. Che si chiama Berlusconi.

Aggiornato il 09 settembre 2019 alle ore 11:50