Il Conte-bis c’è, pure Salvini, e Berlusconi?

La crisi s’è risolta come si sapeva. Una crisi, peraltro, che è stata svuotata in questi giorni della sua più reale consistenza politica (ragioni, torti, programmi, prospettive, ecc.) in nome e per conto della strapotenza dei media, antichi e nuovi.

La caduta del primo Governo Conte ha significato essenzialmente la sua natura post-politica in favore di modalità narrative e rappresentative in cui i mass media hanno trionfato. Era già successo questo, dice qualcuno riferendosi alle prime, lontane vittorie berlusconiane svelando quel conflitto di interessi, sia pure archiviato dalla storia; un’archiviazione che potrebbe essere invocata, prima o poi, dai nemici e dai “proprietari” di una piattaforma che, di fatto, è a sua volta “padrona” delle scelte di un Movimento 5 Stelle che, non a caso, in nome di Rousseau, ha come obiettivo la sostituzione della reale e verificata strada maestra della Magna Carta e della democrazia con quella del web. Col risultato dell’affacciarsi di una tipologia fintamente partecipativa ma del tutto simile ai diktat di un Cominform neomoderno fondato non sulle scelte libere e democratiche per un progetto, un programma, ma sulla sua approvazione schiacciando un tasto del computer.

E il fatto che a quasi tutti i narratori di questa crisi, peraltro impegnati in presenze quotidiane nelle puntate ad horas delle maratone televisive, sia sfuggita un’analisi seria e approfondita della portata delle referendum in nome del filosofo svizzero, la dice lunga proprio a proposito dello spesso velame mediatico che, com’era nei desideri di Grillo-Casaleggio vincitori il 4 marzo in nome del “vaffa” e poco più, ha sradicato la necessità delle riflessioni a favore di una lettura della formazione del Conte bis come un film di suspense, di un Hitchcock all’italiana impegnando i facitori del medesimo in collegamenti, talk-show, rincorse di dirigenti pentastellati che, se hanno coinvolto un pubblico sempre alieno da questo di storie, ne hanno accarezzato le voluttuose curiosità nel mentre che sollecitavano il presenzialismo dei cosiddetti attori.

Ha dunque ragione il direttore ad invitare a prepararsi contro la deriva madurista grillina nella sua volontà, più volte esplicitata, di espiantare la democrazia rappresentativa a favore del nuovo-antico centralismo democratico. E l’invito non può non coinvolgere, purché lo voglia, il leader della Lega Matteo Salvini che crisi e sua soluzione hanno spinto fuori dal Governo, certamente per sue colpe o responsabilità di cui s’è detto e scritto molto, soprattutto in nome di quel nuovo movimento denominato “tutti fuorché Salvini” che, se ne ha accelerato l’uscita dal Conte-1, non ne ha affatto rimpicciolito il nuovo ruolo oppositorio al di là di sondaggi che segnalano bensì una contrazione di una Lega che resta comunque poco sopra il trenta per cento, che non è poco, anzi. Salvini c’è.

Uno dei problemi salviniani, anche alla base dei suoi “errori”, è pure la fiducia eccessiva nei sondaggi dei primi di agosto che gli hanno fatto pronunciare l’infelice frase di poteri assoluti in piena ed orgogliosa solitudine del Capo, a parte la Meloni, ben sapendo che senza alleanze e in questo sistema elettorale nessuna conquista di un potere più o meno assoluto è possibile. A proposito di alleanze, sia pure spurie ed occasionali, si dice e si osserva che Salvini nutriva fiducia in un Nicola Zingaretti che allora aveva lo stesso obiettivo di una crisi di governo, ancorché per ragioni diverse da Salvini, e questo non pare impossibile. Ma uno dei punti dolenti salviniani è il come e il perché ha per certi aspetti abbandonato Forza Italia, anche con scelte in piena solitudine e dichiarazioni per dir così seccate se non respingenti, il che potrebbe se non portare ad una crisi della storica alleanza con FI, a regalare a Silvio Berlusconi uno spazio autonomo, una maggiore elasticità, una diversa sensibilità anche in un’opposizione che già appare diversa da quella salviniana, molto più morbida nelle dichiarazioni di certi o certe di Forza Italia.

Il fatto è che la mancanza di una strutturazione per dir così “partitica” di Forza Italia non può favorirne una ripresa, che pure può verificarsi proprio alla luce dei respingimenti di cui sopra, e delle opportunità di manovra che si sono aperte. Anche Berlusconi c’è. Ma è diverso.

Aggiornato il 06 settembre 2019 alle ore 10:05