Le assai poco probabili elezioni anticipate

Intendiamoci: le sorprese, proprio perché tali, sono sempre dietro l’angolo nella politica italiana. E qua e là, sia pure fa le righe, si trovano cenni – solo cenni – a proposito di una cosiddetta nascosta volontà salviniana di ricorrere al voto anticipato non solo e non tanto per probabili, imminenti, serie difficoltà interne all’esecutivo coi grillini, ma per impossessarsi dell’intero centrodestra, crescere e così via.

Il fatto è che Salvini non sente l’obbligo e l’urgenza di un anticipo non solo o non tanto per i motivi che, nell’arco di due o tre repubbliche, i partiti italiani hanno addotto a tal fine, quanto e soprattutto perché la situazione dell’esecutivo è tanto stabile quanto utile alla sua politica, benché nel caso salviniano, non si possa declamare l’antica massima a proposito di politique d’abord. Per il semplice motivo che gli alleati pentastellati, oltre a non fare politica, non ne hanno una nel senso che, per dirla brutalmente, stanno sotto di lui.

La più vera delle “trovate” salviniane resta sempre quella di avere portato al governo una forza che urlava dissensi e dissesti contro tutto e contro tutti puntando esclusivamente sul leggendario “No” che, in poco tempo, le sottili arti del leader leghista hanno trasformato in un “Sì” ad un’alleanza di governo guidata visivamente, ma solo visivamente, da un presidente del Consiglio grillino a parole ma, nei fatti, esecutore, sia pure educato e non incapace, di una volontà programmatica di chiaro stampo salviniano.

A ciò, che è già molto in un quadro italiano sempre inquieto, si deve aggiungere che non si sono viste e udite, fino ad ora, le cosiddette proteste alte e forti di un’opposizione come quella della nostrana gauche la cui capacità nel liquidare il già potente Renzi è oggi di gran lunga più debole se non impari nei confronti di un governo che può muoversi come vuole. Intendiamoci: la stabilità governativa è sempre e comunque un bene per un Paese come il nostro. Lo era con la Prima Repubblica d’antan, come in quelli della Seconda nata sotto le insegne berlusconiane, grazie alle indimenticabili “Mani Pulite”, sia ora con le conquiste, e non da poco, del successore non tanto non solo del Bossi nordista ma delle maggioranze derivatene e su cui creare la Terza Repubblica. Immersa, comunque, nella Ue.

Non di leghismo si dovrebbe più parlare ma, semmai, di salvinismo in un quadro, a destra o nel centrodestra, nel quale la forza antica berlusconiana si è man mano indebolita anche e soprattutto perché questa forza, pur declamandosi liberale ad ogni piè sospinto, non ne ha tesaurizzato l’innata spinta storico-politica nemmeno quando nel nostro vecchio continente essa si è espressa dando governi nazionali ed europei, sia pure a mezzadria con i socialisti dei quali, peraltro, la crisi, da Bruxelles, Berlino, Roma, Atene è sotto gli occhi di tutti.

Miracoli di Salvini come sussurra qualcuno? Non si direbbe. Ma di certo, per l’ex allievo di Bossi e Maroni un qualche cenno alla cosiddetta fortuna (che anche e soprattutto in politica è indispensabile) va pure fatto in un quadro in cui si assiste ad un crescendo salviniano non soltanto in riferimento alla decrescita berlusconiana – cui il soccorso di un Toti, per quanto utile e necessario ha fino ad ora fatto esclamare ai simpatizzanti e fedeli il classico “meglio che niente” – ma alla sostanziale debolezza di un’opposizione di sinistra fatta bensì di compostezza sorridente, ma assai scarsa di iniziative, proposte e progetti da contrapporre. Altrimenti, che opposizione è?

Tutto tranquillo e senza ostacoli veri il procedere, spesso a scarpe chiodate, di Matteo Salvini che non ha dimenticato del tutto gli antichi furori nordico-autonomisti ed è stato costretto, in queste ore, al classico vertice di maggioranza esattamente per questi motivi? La domanda non sembri così retorica, sia pure in un contesto nel quale non mancano le vere difficoltà, e non solo caratteriali e proprio in una politica dove qualcuno sentenziò che il “carattere è tutto!” E il resto? I problemi?

Il salvinismo cosiddetto di lotta e di governo non può e non potrà giammai sfuggire ai richiami di una demagogia della quale il vicepresidente del Consiglio sa fare buon uso, ovvero mostrarne il volto mediatico pluriquotidianamente. Esemplare il caso della questione dell’autonomia (appunto) con relativo vertice di maggioranza accompagnato da battute sapide, sia pure a sfondo calcistico, da una parte e dall’altra: “Qualcuno è nervosetto!”, ha commentato, ottenendone un bel “Qualcuno si crede Maradona ma è soltanto Higuain”.

E i rifiuti nella Capitale? Facciamoci un bel vertice!

Aggiornato il 09 luglio 2019 alle ore 14:25