Magistratura: il fallimento dell’autogoverno

Quanto sta accadendo nel Consiglio superiore della magistratura ed in tutta la macchina giudiziaria è cosa ben più grave della “questione morale” che, dopo tanto tergiversare, oramai, a cominciare dal capo dello Stato, tutti sono costretti almeno ad ammettere stia travagliando le toghe e tutta l’amministrazione della Giustizia.

Da anni, predicando al vento, sono andato affermando che c’era una “questione istituzionale” della Magistratura: l’assunzione di atteggiamenti e la professione di principi che ne fanno un “partito-istituzione”. Oggi si scopre all’improvviso che quella istituzione se non marcia è gravemente infetta e deteriorata. Ma si stenta assai a comprendere che il vero nodo da sciogliere è quello dell’atteggiamento della Corporazione dei magistrati nei confronti delle altre istituzioni dello Stato. Il problema, dunque, in altre parole, del “Partito dei magistrati”. Un partito-istituzione, a sua volta travagliato dall’esistenza della Associazione Magistrati (che, peraltro, non corrisponde in pieno alla dirigenza del “partito”).

Associazione che, poi, ha finito per avere solo un senso ed una funzione: quella di dividersi in correnti che sono i veri partiti in cui si articola quello “istituzionale”: la Corporazione dei magistrati.

Vittorio Emanuele Orlando aveva compreso la sciagura che l’Anm avrebbe finito per rappresentare per la giustizia. Ma non poté immaginare quanto grave essa sarebbe stata. Ma a questo punto un interrogativo è, piaccia o non piaccia (ed a moltissimi non piacerà affatto e se si accorgeranno di questa nostra opinione grideranno allo scandalo), quello relativo allo stesso fatto dell’autogoverno della magistratura.

Una magistratura divisa in correnti, in partiti contrapposti, assai più “partiti” di quanto non lo siano le sigle elettorali della politica attuale nazionale è il peggiore dei sistemi per ottenere buoni magistrati, buoni giudici, buoni pm? Esso rappresenta nella sua realtà e “necessità” un enorme, inevitabile “caso Palamara”. Quello che si gabella come un “brutto caso” ed è, in realtà, il sistema stesso dell’autogoverno.

È ora di domandarsi se l’esistenza delle “correnti” chiuse ed organizzate più ancora che la stessa Associazione non comporti come “normale” il “sistema Palamara” (a parte la mancia delle vacanze gratis), per ogni nomina importante e per tutto l’andazzo della Corporazione.

Che si ammettano le “correnti” e poi ci si meravigli e ci si scandalizzi per le cene, le conventicole, le telefonate “pesanti”, è cosa che ha un nauseante odore di ipocrisia. Non starò qui a snocciolare il perché di questa mia convinzione, divenuta oramai del tutto contraria allo stesso sistema dell’autogoverno. Se a qualcuno essa interesserà, molto avrò da dirgli. Ma una cosa io dò per certa: se ci sono le “correnti” associative, l’autogoverno è una arrischiata forma di democrazia meramente formale, con tutti i suoi risvolti, le sue riunioni, le sue “cordate” e i suoi colloqui più o meno segreti. Ed è un sistema che, creato sul modello della prima corrente-partito, Magistratura Democratica, non può che ridursi in uno strumento per un “uso alternativo della giustizia” e, infine, in un colossale “sistema Palamara” (che, poi, non si dovrebbe chiamare non solo “Palamara”, ma con molti altri nomi più o meno rispettabili).

Il sistema dell’autogoverno della magistratura è un sistema fallito che si vuole malamente rattoppare. Del resto l’Associazione nazionale magistrati senza le sue correnti ed i rispettivi programmi più o meno eversivi sarebbe ancora peggiore. Quando, come in questi giorni, essa si “sfila” con tutte le sue correnti dalle elezioni suppletive del Csm, essa ci offre nientemeno che un Di Matteo, il demagogo delle cittadinanze onorarie e della pretesa di un posto a furor di popolo, quale arbitro delle carriere altrui. Se per l’autogoverno la partitocrazia delle correnti fa un passo indietro, fa un passo avanti la più becera demagogia. L’autogoverno è fallito. È tutto da rifare.

Aggiornato il 04 luglio 2019 alle ore 12:06