È vero che nella storia della nostra Repubblica i presidenti hanno fatto del loro meglio tacendo e del loro peggio parlando troppo. Ma per ogni regola arriva il momento che deve essere invertita o, almeno, messa da parte.
Per un presidente tacere è uno strumento per dar forza alle parole quando arriva il momento che non si può fare a meno di pronunciarle. Del resto, pare che Sergio Mattarella non abbia bisogno di ricorrere a pubblici proclami, ad allocuzioni televisive per far conoscere il suo pensiero, quando un suo pensiero c’è (ed è giusto e doveroso che ci sia).
Ora lo spread ha fatto registrare uno di quei momenti in cui il Quirinale “dice la sua”, “ammonisce”, “pone limiti”. Benissimo. La matematica non è un’opinione e l’economia, se non è matematica pura, è un modo per girarle attorno. Ma con quello che sta accadendo in Italia, un presidente che interviene (o fa sapere che è sul punto di farlo) solo per lo spread, francamente è cosa che ha un sapore amaro, anzi decisamente acido.
La scena invereconda di un Governo prevalentemente impegnato in una rissa senza esclusioni di colpi tra i suoi componenti e di una lotta politica che pare investa solo le due componenti della maggioranza (si fa per dire) delle forze che teoricamente sostengono il Governo, è una questione che non può lasciare silente il Capo dello Stato, senza che a lui si finisca per dover fare carico dello sciagurato andazzo della vita del Paese.
Un ammonimento del presidente sulla impossibilità di procedere in una contesa politica tutta imperniata sulle lotte e gli sgambetti di quelli che “stanno al Governo” è fenomeno velenoso che incide più di quanto non si creda sul distacco dalla gente, della gente per bene, dalla politica. Significa, non solo per i meno accorti, che per “fare politica” bisogna poter disporre di una parte del pubblico potere per potersi battere contro l’altra metà. E che chi il potere non ha, del potere è meglio che non si occupi affatto e resti prudentemente a guardare. Considerazione che sempre più apertamente a non farla rimangono proprio quelli che dovrebbero ragionare così. Ma non per disinteressarsi della cosa pubblica, ma per farla secondo le precise norme che ad essi sono imposte. Parlo dei magistrati. Che, anziché rappresentare un ancoraggio, una barriera, contro questa concezione del Governo-rissa, ogni giorno di più si gettano a capofitto nella mischia. Spread ed atti delle Procure diventano, quindi, ogni giorno di più, i simboli di una democrazia sciancata e sempre più falsa.
Presidente Mattarella: una parola, un appello contro questo sistema, contro i cretini e contro la loro supponenza, una parola contro la sconcezza della rissa, una parola per dire a tutti che la vita pubblica non è fatta solo di spread, di indici bancari, di giudizi dei mercati, non sarebbe poi sprecata. Anche se non è certo quella di Mattarella la parola di cui più di tutto si sente il bisogno.
Aggiornato il 21 maggio 2019 alle ore 10:34