Berlusconi, il PdF e l’allarme che suona

In mancanza della politica si dice che i partiti (di oggi, in Italia) sopravvivano. O, per meglio dire, vivano. Non ne siamo così sicuri, anche perché si va diffondendo l’impressione che almeno un partito più partito degli altri (di tutti) goda di ottima salute e minacci (pardon, assicuri) di voler vivere e, purtroppo, operare a lungo: il partito dello sfascio. Il suo contrapposto, che prima arriva e meglio è, quello di cui c’è assoluto bisogno, è il partito del fare. O, se vogliamo, dei fatti.

È stato detto che di fronte ad una critica circostanziata il Partito dello Sfascio (PdS) ha la ovvia necessità di delegittimare il Partito dei Fatti (PdF) e “se chi non ama il governo del cambiamento si basasse solo sul PdF avrebbe molta carne da mettere al fuoco per cucinare una bella e gagliarda opposizione”. Appunto.

Una opposizione, ma non solo o non tanto quella fredda di tecnici e specialisti che evidenziano giorno per giorno incompetenze e incapacità del cambiamento, ma una forma, di opposizione, più attenta, più precisa, più calda e di maggiore interesse, sia pure in un ritardo che ha dell’incredibile. Una forma, per dire, più politica di chi dovrebbe (anzi, deve) fare a suo modo politica, giacché si vuole qui affermare che si tratta della forma mediatica, lo spirto dei media, la loro vocazione, la sensibilità dotata di esperienza e di acume.

Media in ritardo? Si capisce, ma la nostra sottolineatura, e non da oggi, partiva e parte dal presupposto per dir così populista, ovvero dalla struttura populista del potere governante del duo di Palazzo Chigi: Lega-M5S. Un populismo che è dotato di una sua egemonia e che la esercita. Ci si chiede spesso se, a cominciare dal livello mediatico, esistano possibilità concrete per una forma di opposizione... Che c’è, e non soltanto a nostro avviso, e ovviamente degna di questo nome. Perché c’è un rimedio e, in buona sostanza, un antidoto pressoché unico contro il populismo vero e falso. Ed è il Partito dei Fatti.

Si potrebbe anche aggiungere che proprio un’egemonia del genere di cui sopra doveva, dovrà, dovrebbe allarmare innanzitutto il cotée mediatico italico tanto più che nel nostro Paese, e soltanto nel nostro, abbiamo la presenza non di uno ma di due partiti populisti, perché? Qualcuno ha motivato questa duplicità con la ragione che “l’Italia è l’unico Paese dove l’élite ha scoperto la pericolosità del populismo, non prima ma dopo le elezioni”. Meglio tardi che mai, vorremmo chiosare.

Dal piano mediatico a quello partitico, anzi politico, la domenica ci ha dato un segnale di indubbio interesse politico proprio nelle dichiarazioni del Presidente Silvio Berlusconi, che non stiamo qui ad elencare e specificare, tanto più che sul piano del fare, del cosiddetto PdF, il Cavaliere ha brillato più di altri. L’aspetto decisamente interessante e importante del Capo di Forza Italia è l’eco delle sue dichiarazioni per così dire istituzionali, storiche, di prospettiva. L’eco di un campanello, anzi di una campana che è stata (finalmente) suonata senza ghirigori, senza toni soffusi e bassi, senza scivolosità o attenuazioni diplomatiche.

Una sorta, se vogliamo, di “per chi suona la campana”. Anche per Salvini...

Aggiornato il 14 novembre 2018 alle ore 10:43