D’Alema, Craxi, Grillo e il resto

Gira che ti rigira si finisce con la giustizia in prima pagina. E, sempre girando e rigirando, ne nasce un dibattito dove i politici, metti il non ultimo, anzi il Massimo (D’Alema), deve dire la sua.

Su un Bettino Craxi (con un Matteo Renzi a dir poco strapazzato) oggi dalemamente rivalutato, ma ieri condannato irrevocabilmente, per la verità non solo da D’Alema. Cosicché, parlare di giustizia è sempre stato un obbligo, almeno da oltre un ventennio. In cui il termine si completava sinistramente nella sua versione giustizialista.

Parlare di giustizia politica, diciamocelo almeno inter nos liberali su questo piccolo grande quotidiano, è divenuto un impegno che va ben oltre l’umanesimo e il liberalismo di cui il nostro direttore scrisse un non dimenticato volume, anche se allora isolato, mettendolo come programma ideale a fronte di quell’indimenticabile incedere chiodato dei giudici, col coro mediatico giudiziario plaudente e gran parte dei postcomunisti incalzanti, che ha spazzato via un’intera classe politica (la Prima Repubblica) e ha posto il suo tallone sui successori apponendone, se non un sigillo, quanto meno un memento. Memento mori, qualcuno direbbe. E non a torto, se è vero come è vero che una morte politica non è esattamente un decesso ma ne rivendica la portata per dir così emblematica, ponendola come conditio sine qua non persino, e soprattutto, per coloro che esercitano il “mestiere” della politica, che altro non è che una rappresentanza elettiva, una delega ad personam, un obbligo a renderla (la persona politica) strumento di bisogni, speranze, sogni, desideri, progetti. Questo nella sua accezione filosofica, diciamo.

Il fatto è che la filosofia è stata molto, troppo estranea in non pochi leader della gauche italiana, sostituita in loro da un suo (comodo) ribaltamento che abbiamo definito poco sopra “sinistro” nella misura e nei modi coi quali il giustizialismo - rieccolo - ha capovolto a favore di altri una piramide eretta invece per indicare una gestione, una linea, una via; anzi, la via retta. E uguale per tutti, ça va sans dire. E non con i dannati e i miracolati, tanto per capirci.

Per farla breve e ritornando sul Líder Massimo che, come avrete inteso e letto, ha rivalutato Bettino Craxi ponendolo nettamente a sinistra rispetto a quel Renzi scagliato nella geenna della reazione (in agguato?), la polemica inevitabile, staremmo per dire inesauribile, si affida ai ricordi invero penosi di un partito che si dichiarava orgogliosamente berlingueriano - pensate un po’ come erano ridotti - e che brandì come un kalashnikov il giustizialismo imbevuto di un moralismo d’accatto e su misura per annientare un leader socialista mandato a morire in esilio.

Il punto della questione non è esattamente il tasso di socialismo, di sinistrismo, di progressismo. La storia, quella vera, ha già fatto, come si suol dire giustizia, e, verità. La questione riguarda D’Alema, e non solo, ovviamente, che furono dei veri e propri miracolati di quell’inchiesta legittimandone, pro domo sua, gli estremismi connessi al questionismo moraleggiante ad personam esaltato nello slogan “tutti i politici sono ladri” da cui la liquidazione della Prima Repubblica.

E allora? Allora succede che oggi viene assolta una brava persona come Ottaviano Del Turco che eravamo in pochi, allora, a mostrargli rispetto e conforto ben sapendo che quell’inchiesta, coi soliti applausi sinistri e giustizialisti, ne avrebbe sancito la “morte politica” al di là di ogni sentenza finale, come questa, che in gran parte lo assolve. E allora, ripetiamo? Allora eccoci alla Raggi (rinviata a giudizio per falso), sindaco pentastellato eletto sull’onda e sul vociare violento e minaccioso del moralismo da quattro soldi sventolato, ovviamente contro gli altri, dal grillismo più giustizialista ma anche più furbacchione col suo: noi non accetteremo mai un qualsiasi eletto con una qualsiasi inchiesta in corso tanto più se aggravata da un rinvio a giudizio. La nostra risposta, scandiva poco più di un anno fa la candidata Raggi, è e sarà sempre: dimissioni! E allora?

Aggiornato il 28 settembre 2017 alle ore 18:57