Giustizia: un problema di civiltà

“Nella maggior parte degli uomini l’amore della giustizia non è altro che timore di patire l’ingiustizia”.

Questo pensiero di François de La Rochefoucauld dovrebbe sempre farci compagnia quando parliamo di giustizia, anche e soprattutto in Italia. A scriverne, basterebbe qualche buona lettura. Raramente nella letteratura un tema come quello della giustizia è stato è e sarà così frequente, persino assillante, comunque immanente. Come puntualmente ricordava Antoine de Saint-Exupéry: la giustizia è l’insieme delle norme che perpetuano un tipo umano in una civiltà. Come dire: la giustizia coincide con la civiltà. Discuterne è utile risolverne i problemi è necessario, riformarla è un obbligo della politica. Ma non è facile, soprattutto non si vedono da anni approcci seri da parte di chi dovrebbe. Per non dire, poi, del settore mediatico dove il lascito del manipulitismo, ovvero del circuito mediatico-giudiziario, ha lasciato molte, troppe rovine. E troppo poche riforme.

Riformare i processi, giustizia lenta, abusi intercettativi, strapotere dell’accusa, detenzioni a go go, ecc.. Il silenzio dei media, se non assordante, è senza dubbio inquietante. Un passare oltre se non addirittura un buttare nel cestino o, se va bene, concedere un minuscolo riquadro. Si sa, quando da noi c’è di mezzo lei, la Giustizia (la G maiuscola, beninteso) il silenzio (mediatico) è d’oro. Il modello che si segue è il predicare bene e razzolare male, nella migliore delle ipotesi. Nella peggiore è la liquidazione giustizialista che fa da pendant all’invito alla gogna.

Prendiamo infatti la “Carovana della Giustizia” promossa dai Radicali italiani nel nome di Marco Pannella; una carovana partita da Rebibbia destinazione Calabria. Un’iniziativa di estrema importanza, politica e culturale, un invito pressante a guardare al settore più in crisi (più dell’economia) del Paese, un vero e proprio colpo di gong. Ebbene, si noterà la sostanziale indifferenza dei mass media e la sordità del mondo politico che, pure, avrebbe qualcosa da imparare e poi da mettere in pratica, da questa Carovana. E siccome non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire, sappiano i tanti, troppi sordi, che nulla e nessuno è stato, è e sarà escluso dalle mire, anzi, dalla mira, di quel Moloch. Ne sa qualcosa di certo il generale Mario Mori che è stato assolto nella terribile storia della famigerata trattativa Stato-Mafia. Pare che il processo sia iniziato nel 1995, che a Mori siano arrivate due assoluzioni ma seguite illico et immediate dai ricorsi dei Pm, sicché solo in questo giorni la Cassazione l’ha definitivamente prosciolto. Citiamo l’esempio, ma ce ne sarebbero e ce ne sono a centinaia se non a migliaia. Perché? Perché come dice anche questo giornale da decenni e come spiega il cosiddetto logos della benemerita carovana, i problemi della nostra giustizia, lungi dall’essere risolti, si sono incancreniti: processi lenti, separazione delle carriere, abuso della custodia cautelare spesso a uso mediatico, amnistia e indulto, il concetto di riabilitazione. L’elenco è lungo e lo conosciamo tutti. E le riforme latitano.

Ricordava Henry de Montherlant: “Nulla, neppure un giudizio giusto, è più intelligente di una sospensione di giudizio”. Ma senza ricorrere a questa splendida figura letteraria, a chi fa il mestiere di giudice sarebbe di grande utilità ciò che Filippo Turati, un politico di grande spessore ma colpevolmente dimenticato proprio perché riformista doc, scriveva e ammoniva: “Giudicare un po’ meglio, o giudicare un po’ meno (che è forse la suprema saggezza)”. Detto nel 1907.

Aggiornato il 12 giugno 2017 alle ore 10:19