Sì, Grasso è un pezzo del “Partito dei Magistrati”. Che, lo abbiamo ripetuto troppe volte, non è costituito dai magistrati “in missione” nei partiti e in Parlamento, ma che certo non li esclude e ne fa sua parte (e strumenti di una strategia). È se non sbaglio, il magistrato più alto in grado “prestato” apertamente alla politica. Ed è quello che, in tale “distacco e missione”, ha conseguito la carica istituzionale più elevata: nientemeno la seconda carica dello Stato.
Del fatto di rivestire tale carica non si è valso di certo per farsi scudo del prestigio e della conservazione dell’Istituzione da lui rappresentata. Si è prestato, e nemmeno solo con la semplice inerzia, al tentativo di rottamazione e di ridicolizzazione del Senato, in questo adottando in pieno uno dei più pericolosi vizi della “politica” con la p. minuscola, consistente nell’assioma “se le istituzioni si conquistano se ne fa quel che si vuole” (E in Sicilia, mi par di ricordare, c’è un proverbio “chi piglia un Turco, è suo”).
Ma Grasso, prima di diventare Presidente del Senato, ha nella Magistratura, ricoperto una carica emblematica dell’istituzionalizzazione della devianza della giustizia: è stato a capo della Procura Nazionale Antimafia, che ben potrebbe rappresentare il simbolo della “giustizia anti qualcosa”, cui siamo ridotti. O passare per tale, ché gli aventi diritto a tale ruolo sono molti. Oggi Grasso “marcia” a Milano a favore dei “migranti”, contro non so chi. E parla, con l’autorevolezza della sua doppia qualifica (starei per dire doppia natura, ma non andrebbe bene). E la sua voce ben può essere considerata idonea per più versi a definire concetti e natura della giustizia (si fa per dire) nel nostro Paese.
Parlando dell’assassinio di Giovanni Falcone, rispondendo ad un’intervista su “Repubblica” alla domanda “fu solo mafia?”. Pietro Grasso tranquillamente risponde: “Purtroppo al momento mancano i riscontri per portare ad un accertamento giudiziario”.
Se si considera non tanto quello che, a questo proposito scrive su “Il Foglio” Massimo Bordin, al quale risulta che Pietro Grasso è un magistrato attento e poco suggestionabile (virtù rara) quanto l’interpretazione che da noi si dà all’obbligatorietà dell’azione penale ed alla funzione delle Procure: indagare alla ricerca di notizie di reato, quella risposta significa che “purtroppo” non c’è proprio niente che faccia pensare che ci sia “altro”.
“Purtroppo”. Un magistrato che dice “purtroppo” non già di fronte al fatto che c’è un morto ammazzato e non c’è aria di trovare il colpevole, ma di fronte al fatto che il colpevole sia uno invece che un altro, che non ce ne sia un altro oltre quello che risulta essere tale, o, magari, che non risulta esserci un delitto invece che niente o piuttosto che di delitto ce ne sia uno invece che un altro e diverso, come dicono le prove raccolte è un magistrato allarmante, perfettamente in linea con la concezione della “giustizia di lotta” che, in quanto tale e perché tale, fonda i suoi convincimenti e la sua opera su verità precostituite e gratuitamente acclamate come tali.
Proseguendo nelle sue risposte agli intervistatori di “Repubblica”, Grasso, quasi per fugare il sospetto di non essere un “magistrato lottatore” aggiunge “Non è detto che non ci siano altri pezzi di verità... Io non perdo la speranza”.
Grasso, oltre che marciare, spera. Spera che nell’assassinio di Falcone ci siano dietro la Cia, i Servizi segreti (deviati) la Massoneria (deviata), Andreotti, buonanima. Spera. Per fortuna non mi conosce e non avrà nemmeno mai sentito parlare di me. Se no, potrebbe, magari, accontentarsi che un altro pezzettino di “verità” sia costituito da una mia partecipazione alla strage di Capaci. Ma altri, che magari fanno spallucce di fronte a queste considerazioni, non si può giurare che siano altrettanto al sicuro dalle “speranze” di Grasso.
L’ottimo Bordin, su “Il Foglio” conclude: “il dubbio che domande del genere (se c’è “altro”) quel mito rischino di accrescerlo, è difficile da respingere”.
Bordin è uno dei migliori conoscitori delle mille espressioni della “giustizia deviata”, al punto che potrebbe trarne una sintesi senza dubbi, se e ma. Per questo mi pare un po’ strana la sua conclusione: non sono certo le domande degli intervistatori di “Repubblica” a rischiare di accrescere il mito (quello di certe dietrologie). La “speranza” di Grasso, congenita alla sua mentalità, era evidente dalle prime battute. E il “mito” non ha bisogno di esser accresciuto. Per i magistrati del P.d.M. e per quelli parlamentari in particolare è verità indiscussa. Proprio perché non ve ne sono le prove che “purtroppo” il potere, i poteri occulti, hanno soppresso e nascosto. O fatto sì che mai se ne avessero.
Questo è il concetto di verità e di giustizia di un esemplare magistrato. Ed esponente del “mondo politico”.
P.S. - L’altro giorno Grasso “marciava” a Milano. Campeggiava nel corteo uno striscione “Siamo tutti legali”. Eppure, purtroppo per Grasso, non mancano di certo “riscontri legali per portare ad un accertamento” del contrario. Ma Grasso spera... Che la verità non corrisponda a un “accertamento giudiziario”. Che c’è.
Aggiornato il 24 maggio 2017 alle ore 13:51